Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
AL CINEMA
Il proposito di rifare un caposaldo ancora unico ed affascinante del musical al cinema, come è e resta il West Side Story del 1961 di Robert Wise e Jerome Robbins, tratto dall'omonimo musical di Leonard Bernstein (e Stephen Sondheim e Arthur Laurents), a sua volta liberamente ispirato alle contrastate vicende amorose che hanno animato e reso tragica la trascinante love story tra Giulietta e Romeo, resa immortale grazie all'arte narrativa di William Shakespeare risalente a fine '500, non può che apparire come un intento folle, di fatto inutile, quasi oltraggioso nei confronti dell'originale e unico progetto.
Folle, inutile ed oltraggioso se lo spunto fosse partito, nato, ostentato o concepito da qualsiasi altro cineasta che non potesse risultare Steven Spielberg.
Il quale, al contrario di pressoché quasi ogni altro collega, si trova in una posizione in cui, a settantacinque anni appena compiuti, può permettersi tranquillamente il lusso di concepire e realizzare - finalmente e buon per lui - un film che, in tutto e per tutto, rispecchi un proprio desiderio di sfida personale, completamente lontano da calcoli di convenienza economica, gli stessi che hanno fruttato spesso al medesimo cineasta, risultati al botteghino straordinari. E che pare, a conferma di ciò, non si ripetano granché in questa sua ultima, per nulla scontata, avventura cinematografica.
Infatti questo West Side Story, che Spielberg affronta avvalendosi dei propri abituali e celebrati collaboratori di prima grandezza (dal direttore della fotografia Janusz Kaminski, allo sceneggiatore Tony Kushner) risulta coerente soprattutto in quanto scommessa personale, un modo per misurarsi con se stesso; un progetto da farsi ora… ora o mai più.
Le vedute aeree dell'originale, mozzafiato per quell'epoca ed ancora notevoli al nostro sguardo smaliziato odierno, lasciano stavolta il posto ai lavori di ricostruzione a livello del suolo, con cui, in pieni anni '50, si cercava di dare un nuovo stile ed un nuovo volto alla Manhattan del West Side.
In questo territorio di guerra, dove tra le macerie di quello che sta per scomparire si stagliano ancora le abitazioni popolari di chi resiste al cambiamento, ovvero le diverse colonie di immigrati più o meno consolidatesi nel territorio, ed ove i presenti da più generazioni - in questo caso il club dei polacchi - ne rivendicano l'origine, a scapito degli ultimi arrivati, in tal caso la comunità portoricana, costretta a figurare come il gruppo appena tollerato ed additato alla responsabilità di tutto ciò che non fila liscio, arrivare ad accendere la miccia dello scontro basta davvero poco.
Infatti tra i giovani, le bande avversarie degli europei Jets, e quella dei sudamericani Sharks, trovano ogni pretesto come un utile motivo per sfidarsi e suonarsele a vicenda.
L'amore casuale che sboccia, durante una festa di studenti presso una palestra di scuola, tra il pacifista e saggio ragazzone Tony, che manco voleva partecipare a quella occasione danzereccia, e la giovanissima e minuta Maria, sorella del capobanda istrionico degli Sharks, Bernardo, diventa il presupposto ideale per favorire lo scontro definitivo, e la doppia tragedia che questa sfida si trascina dietro.
La musica è il capolavoro che ben conosciamo e mai dimentichiamo; i balletti, tecnicamente ripresi in modo sontuoso e valorizzati da carrelli acrobatici che restituiscono l'esperienza di uno tra i più dotati cineasti mai esistiti, aiutano a rendere formalmente memorabile questo remake piuttosto fedele, che tuttavia non possiede nel suo complesso, a mio personale modo di vedere, il fascino dell'originale. Gran parte della differenza che divide due film comunque validissimi, si riscontra nel valore aggiunto di alcuni interpreti del film originale che, nel film di Wise, risultano effettivamente più accattivanti e significativi, memorabili e determinanti per spuntarla sul remake.
Il film capostipite, d'altronde, vide non certo a caso assegnati ai due attori non protagonisti George Chakiris e Rita Moreno, l'Oscar come migliori interpreti non protagonisti: e la loro resa sullo schermo, risultava in effetti ben più accalorata, sexy ed indimenticabile rispetto ai due pur volenterosi nuovi attori chiamati ad impersonare i rispettivi personaggi do Bernardo ed Anita (David Alvarez e Ariana DeBose).
Ma Spielberg è il numero uno, e riesce anche stavolta a stupire con uno dei suoi colpi di marketing (oltre che di cuore), che da sempre costituiscono la differenza tra chi, al suo meglio, figura semplicemente come chi ce la mette tutta, e chi invece primeggia sempre in ogni passo della propria sfaccettata carriera di regista.
Il gran cinesta decide infatti di coinvolgere nell'operazione di riviviscenza del classico musical, la quasi novantenne, ma ancora in gran forma ex ballerina ed attrice Rita Moreno (l'ex Anita del '61) che, oltre a figurare tra i produttori esecutivi, si prodiga a dar vita all'unico personaggio nuovo di questo remake: ovvero l'anziana bottegaia di origini portoricane Valentina, ormai considerata a pieno titolo dagli abitanti del sobborgo una "yankee" regolare, per l'aver sposato in gioventù, ed esserne rimasta poi vedova, un "vero americano".
La ballerina ed attrice nel nuovo film assume un ruolo da angelo saggio: quasi una sorta di "grillo parlante" in gonnella che, con la sua saggezza di donna matura e dalla solida esperienza di vita, tenta di evitare che la disputa tra le due bande si trascini fino alla tragedia: inutilmente, come ben sappiamo.
E sarebbe un gran colpo, anche personale, se Spielberg riuscisse a far si che la Moreno, oltre alla nomination doverosa e probabile nei confronti della Moreno, costei riuscisse poi a ri-aggiudicarsi una nuova statuetta, a sessant'anni dalla prima, con lo stesso film o quasi, aprendo in tal modo una pagina completamente inedita ed irripetibile nella storia del celebre premio.
Quanto al resto del cast, Spielberg rispetta quasi alla lettera le derivazioni etniche del suo cast, laddove Wise adattava star e ballerini di origini disparate alle esigenze del copione.
Col risultato e la differenza tra i due film che se nel film originale era Maria la vera star del cast, ovvero una già lanciata Natalie Wood, nel remake è Tony, alias Ansel Elgort, la vera celebrità tra un gruppo di interpreti giovani, volenterosi, ma tutti in erba quanto a notorietà.
Rachel Zegler, la ventenne carina e dolce che interpreta Maria in questo ultimo adattamento, è agli esordi assoluti, ma supera brillantemente la prova di un remake più bello e perfetto dal punto di vista tecnico, che da quello emotivo: la storia prende e non potrebbe essere altrimenti, ma le emozioni a pelle dei ritmi e dei balletti originali, risultano, a mio personale avviso, tutti a vantaggio dello straordinario, irripetibile film originale.
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