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Rifkin's Festival

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Rifkin's Festival

di laulilla
8 stelle

Amabile film, ironica e lucida riflessione sul presente, ottimamente diretto dal grande Woody, che si giova ancora una volta della bellissima fotografia di Vittorio Storaro.

 

A San Sebastian, in occasione del prestigioso festival cinematografico, era arrivato da New York in compagnia della giovane moglie Sue (Gina Gershon) lo storico ebreo del cinema Mort Rifkin (Wallace Shown), già docente universitario, ora in pensione.

Benché ostile ai risvolti mondani di quel tipo di manifestazioni, sempre inquinati dalle invidie meschine e dai pettegolezzi velenosi dei giornalisti e degli intellettuali, Mort aveva accettato l’invito, soprattutto per godersi un po’ le bellezze della Spagna, legate ai ricordi di gioventù, mentre la bella Sue sarebbe stata impegnata nel suo lavoro di addetto-stampa del presuntuoso regista Philippe Germain (Louis Garrel), gran seduttore di mogli in trasferta, nonché narcisisticamente convinto che il proprio ultimo documentario – era lì per presentarlo – sarebbe stato addirittura decisivo per la pace fra Israeliani e Palestinesi.

 

Mort, però, presto avrebbe dovuto abbandonare le belle e impegnative passeggiate panoramiche per un malore improvviso che lo aveva portato, dopo una notte d’ospedale, nello studio di un medico in gonnella, la bella Dr. Jo Rojasche (Elena Anaya), infallibile diagnostica che si sarebbe presa cura del suo cuore, non così malato, come temeva e, soprattutto, ancora sensibile alle emozioni e ai turbamenti dei dettami d’amore…

Mort, per rivederla, infatti, era diventato un malato immaginario: ora che il cuore andava meglio, c’era un dolore acuto ai denti, poi un sospetto eritema bolloso, un acufene fastidioso, il colesterolo … ogni scusa lo riportava dalla bella Dr.Jo dove tutti e due cercavano di farsi coraggio: lui disgustato dalla banalità dei cineasti del presente, lei dal marito fedifrago, pittore sporcaccione che la tradiva con una modella-ninfetta, che si chiamava Dolores, proprio come Lolita…

 

Specchio del vecchio Woody, delle sue paranoie, dei suoi contorti tentativi di ridurre a razionalità anche ciò che non è possibile, Mort ritrovava finalmente se stesso e il cinema che aveva amato quando, durante la notte, i sogni lo trasportavano nelle antique corti delli antiqui huomini, nei protagonisti dei film di un tempo, quelli che lo avevano aiutato a comprendere almeno un po’ di sé e del mondo.

 

 

 

Ricompaiono, opportunamente adattate alle nuove circostanze, le scene famose di Buñuel, l’inconcludente tentennare degli intellettuali sulla soglia della casa di L’angelo sterminatore, l’amatissima Parigi della Nouvelle Vague di Godard e di Truffaut; ricompare il Fellini di 8 e mezzo, nonché Orson Welles e il grande Bergman, con i suoi film celebri e soprattutto con il Settimo Sigillo che offre lo spunto per l’ultima straordinaria scena: la Morte (irresistibile l’interpretazione di Christoph Waltz), che diventa con lui affettuosa dispensatrice di consigli per vivere meglio ed evitare le malattie… La partita a scacchi sarà per un’altra volta!

 

Delizioso film, ironico e intelligente autoritratto del grande regista che abbiamo amato, e che, da grande uomo di cinema, alla vigilia dei novant’anni, riesce ancora a commuoverci e strapparci più di un sorriso.

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