Regia di Woody Allen vedi scheda film
Se la vicenda sentimentale è l'ennesima variazione su un tema già sviscerato mille volte dal regista, soprattutto negli ultimi anni, ciò che rende Rifkin's Festival particolarmente gustoso è il suo essere una dedica alla grande passione di Allen per i suoi autori-feticcio, disseminata pertanto di riferimenti ed omaggi cinefili sotto forma di sogni.
Costretto dal crescente ostracismo che subisce in patria a cercare produttori in altri lidi, Woody Allen in trasferta spagnola confeziona una commedia agrodolce, molto leggera ma comunque dotata di una grazia briosa e di un tocco delicato, che costituisce soprattutto una dichiarazione d'amore ai suoi registi del cuore.
Al centro della trama i tormenti matrimoniali di Mort Rifkin (Wallace Shawn), attempato storico del cinema, intellettuale ebreo di New York, ovvio alter ego del nostro Woody, che accompagna al Festival internazionale del cinema del Cinema di San Sebastián la moglie (Gina Gershon), addetto stampa di un regista francese emergente (Luois Garrel), per vederla cedere alle lusinghe di un'avventura con l'affascinante, ma superficiale, giovane cineasta. Mort cerca allora a sua volta una scappatoia consolatoria nel rapporto con una giovane dottoressa spagnola dal matrimonio infelice (Elena Anaya), anche per lenire le sue perenni insicurezze, esemplificate dal libro che sta scrivendo da una vita, opera eternamente incompiuta che non si è mai deciso a terminare e pubblicare. Non a caso il film si presentata come flash-back incorniciato da una seduta di psicanalisi.
Da frequentatore di diversi festival negli ultimi anni (Cannes, Venezia, Roma, Locarno, Torino e altri minori), non ho potuto non apprezzare questa incursione di Allen nel milieu festivaliero, ambiente d'elezione dell'appassionato cinefilo, che con questa visione può ben sentirsi affratellato, più che al protagonista che diserta le proiezioni per gli appuntamenti con la dottoressa, all'autore stesso. Se infatti la vicenda sentimentale è l'ennesima variazione su un tema già sviscerato mille volte dal regista, soprattutto negli ultimi anni, ciò che rende Rifkin's Festival particolarmente gustoso è il suo essere una dedica alla grande passione di Allen per i suoi autori-feticcio, disseminata pertanto di riferimenti ed omaggi cinefili. I ricorrenti sogni in bianco e nero del protagonista citano ciascuno una serie di immortali classici della storia della settima arte, rielaborati in chiave ironica dall'inconscio di Rifkin, da Quarto Potere a Otto e Mezzo a Jules e Jim all'Angelo Sterminatore di Buñuel, con multiple citazioni per Bergman, con sogni dialogati in svedese sottotitolato e la chiusura con Il Settimo Sigillo, ove la morte ha il volto di Christoph Waltz ed elargisce spassosi consigli “della nonna” per incontrarla il più tardi possibile.
Come Un giorno di pioggia a New York, il film è impreziosito dalla splendida fotografia del nostro tesoro nazionale Vittorio Storaro, che qui ci regala splendide inquadrature di una San Sebastián illuminata da un fulgore abbagliante (mi è venuta voglia di partire immediatamente per i Paesi Baschi). La colonna sonora ci ricorda quelle di tutti i film di Woody Allen visti in vita nostra, quindi male non è, oltre a risultare particolarmente adatta ad un'opera nostalgica e citazionista come Rifkin's Festival.
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