Regia di Woody Allen vedi scheda film
48° film di Allen. “I festival cinematografici non sono più come una volta, e il cinema non è più quello che insegnavo”: già dalle prime frasi di Mort Rifkin, ennesimo alter ego di Woody opportunamente rimbambito, si capisce subito dove si andrà a parare. E invece non è così, o almeno non proprio: è un film brontolone e passatista, certo, ma al tempo stesso ironizza sul proprio brontolare. Allen riesce a essere manierato con stile: sa benissimo di essere un sopravvissuto, di valere molto più della maggior parte dei registi in circolazione, di aver dovuto subire in patria un ostracismo assurdo, ma ci scherza sopra; o meglio, si vendica continuando a fare il cinema che ha sempre fatto. Quindi prende un Louis Garrel insopportabilmente perfettino, e non lo maltratta neanche troppo: anzi, gli lascia godere i suoi banali trionfi mondani e sentimentali. Spiattella senza ritegno i propri amori di celluloide, mettendo in scena deliziose rivisitazioni oniriche in b/n di Quarto potere, Otto e mezzo, Jules e Jim, Un uomo, una donna, Fino all’ultimo respiro, Persona, Il posto delle fragole, L’angelo sterminatore e Il settimo sigillo (Christoph Waltz che interpreta la Morte con la scacchiera sempre a portata di mano vale da solo la visione). Non teme di scadere nel cartolinesco, come nell’altro suo film spagnolo Vicky Cristina Barcelona. Ripete pari pari lo schema di Midnight in Paris (una coppia americana in trasferta europea: lei lo tradisce, lui si innamora), dandogli però un finale diverso: ed è giusto così, perché ormai non è più tempo di farsi troppe illusioni sulla vita. Un film dolcemente rassegnato, senza cupezze: sa di raccontare solo i piccoli guai di borghesi benestanti, e che i veri drammi stanno altrove.
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