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My Days of Glory

Regia di Antoine de Bary vedi scheda film

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La recensione su My Days of Glory

di supadany
6 stelle

Venezia 76 – Orizzonti.

L’apatia è una brutta gatta da pelare. Quando prende corpo, cresce rapidamente fino ad assumere la natura di unica compagnia di viaggio, togliendo aria a qualsiasi attività concorrenziale, anche quelle in precedenza gradite. In questo modo, viene a crearsi una congiuntura granitica, nella quale i giorni si ripetono all’insegna dell’assoluta monotonia, intaccabile esclusivamente da un fattore esterno di precisione talmente chirurgica da fare da stura.    

All’età di 27 anni, Adrien (Vincent Lacoste) è ancora bloccato in un limbo. La carriera di attore è arenata da anni, per un’imperdonabile disattenzione si ritrova senza casa, costretto a tornare dai genitori (interpretati da Emmanuelle Devos in versione psicanalista e un Christopher Lambert dal bicchiere facile), e non ha alcun tipo di interesse particolare da coltivare.

Giusto l’amore per una ragazza (Noée Abita) molto più giovane di lui sembra spronarlo, ma le prime reazioni a questo contatto umano non fanno altro che peggiorare il suo stato psicofisico.

Se non altro, per una volta Adrien non ha intenzione di arrendersi al primo scoglio.

 

Vincent Lacoste

My Days of Glory (2019): Vincent Lacoste

 

My days of glory, seguito del cortometraggio La nascita di un leader, mette nel mirino alcune brutte abitudini di una parte dei giovani adulti - per intenderci quelli compresi nella fascia tra i venti e i trent’anni - di oggi, che hanno tanto tempo libero e uno spirito d’iniziativa vicino allo zero.

Adrien, interpretato con istrionismo da Vincent Lacoste (Lolo - Giù le mani da mia madre, Tutti gli uomini di Victoria), è un personaggio ideale per rendere chiara l’idea. È completamente estraneo alla vita sociale, non ha un lavoro stabile e per risolvere un guaio, sempre qualora abbia voglia di provarci, finisce per crearne uno grande il doppio. Insomma, è un grimaldello ideale per sventagliare un disastro dietro l’altro, ronde da rappresentare mediante gag comici che, a turno, comprendono personaggi e oggetti diversi, arrivando al culmine con la sfera sessuale.

Trattasi di un settore utile per far capire come, più in generale, l’istinto di conservazione renda problematico cambiare le prospettive di punto in bianco, quanto l’anaffettività, una volta sedimentata, non sia estirpabile a comando, facendo sì che il volere e il potere alloggino su due rette parallele e discordanti.

Nel complesso, il ritratto presentato in My days of glory è soddisfacente, le risate accompagnatorie in prevalenza sarcastiche non si lasciano desiderare e i segmenti tragicomici sono molteplici, anche se sulla distanza perde in resistenza e il finale non aggiunga un particolare sostegno, ripiegando a stento sull’opzione più facile da ipotizzare (almeno come argomento).  

Accattivante e discontinuo.

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