Regia di Salvo Ficarra, Valentino Picone vedi scheda film
Sarebbe bello fosse tutto come in un presepe, ove i cattivi lo sono più per una questione di ruoli, che per una autentica ragion d'essere; dove il bene è naturale e logica conseguenza del saper stare in società, ed il male è un capriccio che serve per far quadrare la scena e catturare le risate. Quella della premiata ditta televisiva Ficarra & Picone è un'Italia da presepe già a livello di sinossi, dunque inattaccabile, a livello teorico, sin dalle premesse.
La storiella del ladro furbastro che raggiunge il prete ingenuo e di buon cuore alle prese con l'organizzazione del presepe vivente nel paesello grazioso e coeso, per rubargli la preziosa reluquia, e si trova catapultato, chissà perché, insieme al suo bonario inseguitore, ai tempi della cristiana natività, la dice lunga quanto ad originalità della trovata.
L'operazioncina scaltra e studiata a puntino con modalità che non fa una grinza a livello di tattica commerciale, non si differenzia molto - ammettiamolo - per situazioni e rozzi viaggi temporali annessi e connessi, a quanto già fecero due illustri grandi comici circa trentacinque Natali fa quando, in quel lontano 21 dicembre 1984, "Non ci resta che piangere" si predispose a sbancare i botteghini italiani delle festività natalizie.
Posto che al film di Troisi e Benigni - nonostante i limiti evidenti ed innegabili già prettamente a livello di stile cinematografico, propri di un'opera pure quella costruita per piacere a tutti i costi e massimizzare l'incasso (non che sia una colpa o un limite) - voglio bene incondizionatamente anche o forse proprio grazie ai suoi difetti e alle sue spudorate puerilita' cosi poco cinematografiche, è evidente quanto esso avesse almeno un grande merito: quello di avvicinare, per la prima volta in un unico progetto, due comicità cosi disparate ed apparentemente antitetiche, ovvero quella nervosa e rissosa di Benigni e quella pacata e rassegnata, vittimistica e trasognata di Troisi.
Unite arditamente in un esperimento per nulla azzardato, ma interessante già a livello di premesse.
La storiella di F&P, invece, si limita a ripropone, innanzitutto, un duo televisivo che non si è mai immaginato potesse esistere singolarmente nelle sue isolate identità, ritrovandosi al cinema un comico dai tempi veloci ed il fiato corto (Ficarra) ed una spalla già migliore, se trapiantata al cinema, ma impossibile da considerare come identità autonoma (il buon Picone).
Il tutto al servizio di un prodotto che è tutto fuorché cinema: serie di sketch a ripetizione, fragili e qualunquisti, buonisti ed accentratori di facili consensi, della durata di qualche minuto, che non riescono ad aspirare ai tempi più lunghi di un prodotto cinematografico, ma si traducono inevitabilmente in una pedante riproposizione buonista di quanto la tv di oggi e degli ultimi 30 anni non fa che ripetere senza sosta nelle note e fortunate produzioni targate Ricci & Co., padre padrone di questa infinita, ed apprezzata ripetitività da primi della classe, che la pigrizia dilagante e la mancata educazione verso un tipo di narrazione più compiuta, finiscono per trasformare in formule vincenti a furor di popolo, e milionarie... buon per loro.
Del resto la formula dei comici televisivi trasportati sul grande schermo, anche quando arriva, come con F&O, al suo sesto ed economicamente indovinato tentativo, quasi mai riesce a trasformarsi in vero cinema...anche quando intervengono abili ed illustri nomi come Ciprì, qui ad occuparsi della fotografia.
Di fatto, senza per questo denigrarne necessariamente ed univocamente i tempi e le modalità di organizzazione delle varie scalette narrative, certi comici non dimostrano, come ritengo accada qui, di riuscire a gestire adeguatamente i tempi ideali per fare il cinema "serio" (ma pur comico, ci mancherebbe!) che si rispetti. Se poi l'operazione, come appare evidente in questo caso, non dimostra altra dinamica se non quella di giocarsi strategicamente le carte dell'enfasi natalizia tutta presepi e belle intenzioni, utilizzando ogni pretesto per inserirvi maldestramente scorci di problematiche attuali miste a cenni di imprese bibliche rese note nei vari Testamenti (qui si accenna addirittura all'enfasi di spalancare le acque come Mosè o a traghettature fuggitivi alla moda del buon Noè, con strizzatina patetica sul dramma degli sbarchi di immigrati dall'Africa), ecco che l'operazione conferma il nemmeno troppo malizioso sospetto di trovarci al centro dell'ennesimo puerile ed immaturo, ma a fin dei conti riuscito, tentativo di costruire l'astuto, ma maldestro approccio, per assicurarsi un successo ed un ritorno commerciale garantiti.
E avanti dunque col buonismo a profusione!... senza contare che chi crede veramente e seriamente ad un dogma come quello della nascita del Cristo che vada al di là della agreste rappresentazione della natività in capanna, a mio avviso dovrebbe rimanere sconcertato da questa triviale riproduzione da presepe della Sacra Famiglia di cui il filmetto - impossibile non ammetterlo - si rende completamente e dissennatamente responsabile.
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