Regia di Salvo Ficarra, Valentino Picone vedi scheda film
UNA RECENSIONE NON RECENSIONE
Uscire da un film e avere voglia di tornare dentro a quella realtà è una sensazione che mi coglie rare volte. Ho smesso di sognare da tempo, da quando la vita ha voluto presentarmi, come capita prima o poi a tutti, il conto da pagare. Eppure oggi mi è capitato di immergermi dentro a un sogno lungo 100 minuti e avere voglia di non svegliarmi. Quel sogno si chiama Il Primo Natale, il film di Ficarra e Picone in uscita in ben 715 sale. Per gli amanti del marketing, si tratta della commedia natalizia su cui punta Medusa. Per gli amanti della commedia all’italiana, si tratta invece di qualcosa a cui guardare con attenzione per i risvolti sull’attualità.
Già sul web fioccano i paragoni eccellenti: il duo siciliano richiama alla mente Totò e Aldo Fabrizi, Roberto Benigni e Massimo Troisi, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Don Camillo e Peppone, e così via. In realtà, bisognerebbe nel caso di Salvo e Valentino mettere da parte tutti i paragoni: sono qualcosa di originale che nell’asfittico – e spesso pecoreccio – panorama italiano non ha eguali. Non lo dico da conterraneo, sia chiaro. Il campanilismo in questo caso lascia il posto alla razionalità. Volutamente non uso il termine oggettività: se qualcuno di voi crede che la comicità sia oggettiva, cambi pagina e non prosegua oltre con la lettura. La comicità, come l’arte in genere, è qualcosa che viene filtrata da mille altri fattori. Cosa fa ridere me non fa ridere il mio migliore amico e viceversa. Ognuno di noi ha una propria idea di cosa sia comico o divertente. Ficarra e Picone hanno però il pregio di superare ogni confine personale regalando una comicità a tutto tondo, di cui può godere qualsiasi platea possibile: dal bambino al nonno, dal cattolico all’ateo convinto, tutti possono trovare il sorriso grazie a una sequenza, a una battuta, a una trovata e persino a un buffo movimento.
L’ora legale, il loro precedente film, aveva messo in risalto doti di scrittura in grado di osservare con lucida freddezza i punti deboli dell’italiano comune, quello che in logica gattopardiana si augura che tutto cambi a proprio beneficio. Messa da parte la politica in senso stretto, per Il Primo Natale hanno voluto riscoprire le radici della festa più amata dell’anno per rendere omaggio sia ai natali di Gesù Cristo, facendo felice chi crede nei dogmi della religione cattolica, sia allo spirito di accoglienza e benevolenza che, al di là di razza e credo, abbraccia tutti per almeno un giorno. Per spiegare il perché del film si dovrebbe partire dal finale ma, per non rovinare la sorpresa, in questa sede si dirà che l’ultima scena, lungi dall’essere un’ultima cena, dovrebbe trasformarsi nella quotidianità di ogni nazione, a qualunque latitudine essa si trovi. Amare il prossimo è uno degli insegnamenti che apprendiamo sin dalla tenera età: ancora prima di avvicinarci a qualsiasi religione, scopriamo quanta importanza abbiano gli altri nelle nostre esistenze (e quanta ne abbiamo noi in quelle altrui). Ma chi è l’altro da amare oggi? È soltanto chi siamo avvezzi ad avere intorno o può arrivare da un mondo lontano da quello a cui siamo soliti? Dobbiamo temere cosa arriva per mare o cosa arriva da una dimensione che ci è aliena solo per mancanza di conoscenza?
La storia raccontata, firmata da Ficarra & Picone con Nicola Guaglianone e Fabrizio Testini, parte da un semplice viaggio nel tempo. A innescare la scintilla è il furto di una reliquia santa (meno fantasioso di ciò che sembra, a scorrere le pagine delle cronache locali) che, per magia o per miracolo, porta il ladro Salvo e il prete Valentino a 2019 anni fa, a qualche giorno prima della nascita di Cristo, nella mitica Betlemme. Consapevoli di cosa sta(rebbe) per accadere, si ritrovano a combattere per mettere in sicurezza la nascita di Gesù da un mefistofelico Erode. Scoprono così che a fare i miracoli non sono i santi ma gli uomini stessi, artefici sia del destino della Storia. Tra tentativi, malintesi e tradimenti, scoprono come il primo Natale della storia sia diverso da come l’iconografia classica lo abbia raccontato, come Giuseppe non abbia la barba da matusalemme o come Gesù non sia biondo con gli occhi azzurri. Trasmigrando i difetti e vizi contemporanei nell’antica Palestina, giocano con i topoi del presepe per riscoprire i valori etici e filosofici che il Natale ha il compito di veicolare ancora oggi.
Chi siamo per giudicare l’operato altrui? Possono le false apparenze inficiare la nostra percezione della realtà? O siamo gli unici fautori di un mondo che sarebbe migliore se solo lo volessimo? Le domande trovano risposte concrete nel gioco che Ficarra e Picone imbastiscono senza scadere mai nello scontato o nella volgarità. Come d’abitudine, un linguaggio pulito accompagnato da battute mai scontate fa da corollario a una ricostruzione scenica da colossal. Il modello di riferimento appaiono i mitici sandaloni che, prodotti negli anni Cinquanta, avrebbero fatto da apripista ai kolossal statunitensi targati MGM: non a caso in una sequenza si gioca con il Mosé dei Dieci comandamenti di Cecil B. De Mille e in altre si rimandi a immagini panoramiche figlie del cinemascope. Il presepe restituito assume nuovi significati: inseguire un sogno non dovrebbe divenire una chimera. Credere in un mondo in cui est, ovest, nord e sud convivano non è difficile, occorrerebbe dare risalto a chi per questo stesso mondo ha in passato combattuto e fatto le rivoluzioni, simbolicamente o realmente. Del resto, è meglio morire una sola volta che farlo tutti i giorni. Il cambiamento che il duo siculo si auspica è quello in cui dovremmo credere tutti quanti: non è il potere a fare la differenza ma chi alle decisioni di quel potere sa e deve ancora tenere testa. Il mare del cambiamento non è all’orizzonte per creare divisioni o per annegare corpi e anime: è lì con le sue acque per ridare nuove vite.
Un ultimo suggerimento per chi si appresta a vedere il film: riscoprite il bambino dentro di voi. Accettate tacitamente il patto di sospensione dell’incredulità che Salvo e Valentino vi propongono e oltrepassate il canneto con loro. Guardate con occhi privi di pregiudizio ciò che avviene sullo schermo e abbracciatene il significato più profondo. Dopotutto, i miracoli sono possibili per chi sa combattere le tigri dell’ignoranza.
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