Regia di Cathy Yan vedi scheda film
Non fatevi ingannare dal titolo, per quanto con Birds of Prey voglia far intendere un film corale alla Suicide Squad, di cui la pellicola è in pratica uno spin-off (per quanto molto autonomo) in realtà è in tutto e per tutto un Harley Quinn Picture Show (o se volete un Margot Robbie Picture Show che è praticamente la stessa cosa) e un film costruito soprattutto per la (auto)celebrazione della sua protagonista in tutta la sua folle bellezza e capacità imprenditoriale (ogni più piccolo elemento del film e ogni scelta presa porta inevitabilmente la sua firma, dal tono alla regia, dai costumi alla sceneggiatura).
Film anche costruito a misura del movimento #metoo e prodotto direttamente dalla sua protagonista, Margot Robbie, a cui si deve la scelta “femminista” della regista Chaty Yan, prima asiatica a dirigire un film di supereroi, e della sceneggiatrice Christine Hodson, BOP vuole rappresentare nel bene e nel male un elemento di rottura rispetto alle opere precedenti, non solo in campo DC ma nel genere supereroistico in generale, oltre a un ulteriore passo avanti per l’emanciopazione femminile anche in campo cinematografico (anche e più di Wonder Woman o Captain Marvel), quest’ultimo prodotto della Warner riservato ai personaggi della DC Comics sembra voler spingere ancora di più il pedale dell’acceleratore su determinate caratteristiche del blockbuster fracassone più recente, ovvero una sfrenata e coloratissima corsa su un’ottovolante, e forse non è affatto un caso che il finale è ambientato proprio nel classico luna park abbandonato (Scorsese probabilmente approverebbe ;P).
Il film di Chaty Yan riprende gli elementi più pop di Suicide Squad, appunto l’Harley della Robbie, e li inserisce in un’action movie dall’ironia molto slapstick e con lo spirito di un buddy movie ma al femminile, aggiungendoci poi un taglio grottesco e matacinematografico alla Deadpool con un’infarinatura alla Tarantino (il titolo di lavorazione del film era Fox Force Five, il titolo del telefilm mai realizzato di cui Uma Thurman/Mia Wallace aveva girato un pilot in Pulp Fiction) che alla fine si traduce in una libertà espressiva perfino eccessiva, sia di linguaggio (anche cinematografico) che nella violenza, prendendosi qualche rischio ma senza mai calcare troppo la mano, preferendo al contrario un tono volutamente autoironico, molto da cartone animato, e che deriva direttamente dalla sua protagonista e dalla sua interprete, su cui si è scelto di adattare sia il ritmo che la scrittura in quanto Birds of Prey non trappresenta soltanto l’emancipazione di Harley Quinn, come è esplicito nel sottotitolo della pellicola, ma anche la celebrazione cinematografica dell’iddilio tra il personaggio e il suo interprete. Purtroppo questo rappresenta anche uno dei suoi più grosso limiti.
A parte per la sua protagonista la storia e gli altri personaggi hanno ben poco respiro se non quello di enfatizzare quanto possibile il personaggio principale.
Dal punto di vista scenografico e della fotografia invece BOP è il giusto quadro della sua protagonista, decisamente sopra le righe e continuamente propenso al grottesco, e in questo funziona egregiamente, anche grazie a un tonalità di colori dal forte impatto visivo, ma perde moltissimo nella scrittura come anche nei dialoghi, non ha particolari momenti esaltanti e non sembra nemmeno aver bisogno di una narrativa ben precisa se non tutta una serie di sketch e scenette, tra flashback e flashfoward, intermittenti tra loro,
Ne risulta una bozza della pellicola che avrebbe dovuto essere ma che non riesce mai ad affondare davvero il colpo.
Una parte decisamente riuscita del film è invece il respiro delle scene action, mai esplicito o scioccante ma sempre divertito e ironico anche negli eccessi, e che deve il suo successo al team di stuntmen coordinato da Chad Stahelski, noto per la saga di John Wick e chiamato per nuove riprese durante la post-produzione del film, rigirando in pratica tutte le scene d’azione (ironioco poi che proprio il regista di una serie con così alto “testosterone maschile” come quella di JW sia dovuto intervenire per “salvare” - tra virgolette - una pellicola invece così femminista).
Inno al femminismo, come detto, e alla autodeterminazione del genere femminile desideroso ormai di liberarsi della presenza ingombrante di quella maschile, e accompagnato dalla voce onnipresente della protagonista, il film è continuo salto avanti e indietro di una storia raccontata in modo anche distorto dalla stessa Harley, inevitabilmente il fulcro imprescindibile di tutto, mentre le comprimarie risultano inserite nel contesto solo per trovare una qualche giustificazione alla loro presenza nel titolo del film (ma dalla importanza piuttosto relativa).
Unica nota positiva la Cacciatrice di Mary Elisabeth Windstead. Sarà che ho un debole per lei da Death Proof ma il suo è il personaggio meglio trattato nonostante il poco screaming e l’unica che mi interesserebbe rivedere in azione in quanto potenzialmente interessante.
Poco interessanti, oltre che oltremodo trasformate rispetto alle origini fumettistiche, le altre protagonisti come anche gli antagonisti, ovviamente tutti maschi e prototipi delle peggiori "qualità" del genere maschile, ma che finisco per aderire a così tanti stereotipi da annullare qualsiasi genere di avversione che non sfoci nel parossismo, e ottenendo di conseguenza esattamente il contrario di quanto voluto.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta