In una Puglia senza tempo, dominata e soggiogata da forme di lavoro clandestine e da un caporalato tiranno che riduce la manodopera in condizioni di precarietà che ricordano deplorevoli forme di schiavitù ricorrenti in epoche passate, una madre di famiglia, occupata come bracciante alla giornata, muore di fatica sul posto di lavoro, lasciando il figlio ed il marito, senza lavoro dopo un incidente che lo ha reso cieco da un occhio presso la cava ove lavorava rigorosamente in nero, completamente indigenti, obbligati a lasciare la casa ove vivevano in affitto, riuscendo per vie traverse ad assicurarsi una soluzione in una bidonville ai margini di un terreno, ove il latifondista esercita il proprio dominio su una massa di lavoratori, quasi tutti clandestini, costretti ad accontentarsi di un salario minimo di pura sussistenza, e di una sistemazione nemmeno degna di un animale da cortile.
Una storia di sfruttamento, di fatiche, di perdita della propria identità e dignità, di angherie profuse da una casta soverchiante avida e senza ritegno che si inginocchia devota presso l'altare privato, ma rimane impassibile quando chiunque dei suoi lavoratori clandestini muore di stenti, senza peraltro preoccuparsi di celarne il cadavere.
L'epopea drammatica e senza soluzione del gigante buono Giuseppe (a cui presta il volto, televisivo e notissimo, l'opulento attore Salvatore Esposito di Gomorra) e del piccolo, vivace e intraprendente Antò, serve da supporto per i fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio per far luce su una situazione di degrado dalle dinamiche piuttosto note, ma dalle sfaccettature ancora più incredibili di quanto l'immaginazione possa in qualche modo palesarci nelle sue dinamiche.
Purtroppo Spaccapietre, pur affrontando di petto e con impegno tematiche scottanti come lo sfruttamento del lavoro, dei migranti e della nuova povertà nazionale che dilania il ceto più vulnerabile, oltre che dei minori, diventa qui succube di un vortice melodrammatico senza controllo, capace più che altro di rendersi autore di un ricatto narrativo sin troppo strumentale alla vicenda.
Un vortice che riesce facilmente a creare le condizioni per indurci a manifestazioni di comprensibile sdegno e disappunto, oltre che utile presa di coscienza delle problematiche dramamatiche ed impellenti al centro della situazione. Ma non senza evitarci altresì un po' di imbarazzo, principalmente per via di un ricatto narrativo sin troppo reiterato e a senso unico, che funziona accostando sin troppo maldestramente figure troppo poco sfaccettate che alternano, in un'unica direzione, bontà e cattiveria senza mezze misure, risultando in tal senso prive di ogni autonomia ed indipendenza utile a convincerci della verosimiglianza che pur certamente, almeno dal punto di vista della problematica in generale, di certo li contraddistingue.
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