Regia di Checco Zalone vedi scheda film
Tolo tolo, nessun uomo è un'isola
“Tolo tolo” non è un gran film, va detto subito. È un film medio, che non significa mediocre. Il primo film di Zalone, “Cado dalle nubi”, era inguardabile e aveva ben poco da dire, se non la voglia di mostrare la maschera orribile di un italiano abbrutito, che non veniva però condannata bensì esaltata (nonostante la sua sciatteria il personaggio risultava alla fine un vincente e la donna dei sogni lo sposava pure). Il secondo film, “Che bella giornata”, era leggermente migliore del primo e trattava a sorpresa un tema tabù (almeno in Italia) come quello del terrorismo islamico, non mandandole a dire – col personaggio odiosissimo di Rocco Papaleo – nemmeno ai militari italiani di stanza in Iraq. Insomma, in Zalone s’intravedeva qualcosa che sarebbe stato finalmente messo a fuoco nei film successivi: “Sole a catinelle” e “Quo vado?” non sono grandi film, sono film medi (e d’impronta televisiva: il cinema vero è altra cosa). Il che non significa che siano brutti. E hanno qualcosa da dire. Raccontano la contemporaneità in un modo che il resto del cinema popolare italiano se lo sogna. Sono efficaci e centrano il bersaglio. La critica è sferzante e la maschera di Zalone affilata e crudele abbastanza da far ricordare (vagamente) la commedia all’italiana dei bei tempi andati (quelli di Sordi, Mastroianni, Manfredi, Gassman, Tognazzi, Franca Valeri e Monica Vitti per intenderci). Ricordare e basta appunto, perché la commedia all’italiana è morta (salvo qualche saltuario ritorno con Virzì, Archibugi e Verdone). E “Tolo tolo”? “Tolo tolo” è un film intelligente, più maturo (e meno televisivo) di tutti gli altri (non a caso Zalone sceglie di autodirigersi, firmando col suo vero nome), più schierato degli altri. La critica a una società (e a un sistema) che non accoglie, che non s’immedesima e mette da parte, è immediata. Chi dice il contrario non ha capito nulla del film. Si ride tanto, ma con l’amaro in bocca. Chi dice che in “Tolo tolo” non si ride non capisce l’ironia amara. È un film che parla di migrazioni (di quanti film così popolari potremmo dire lo stesso?), sugli spostamenti, sull’imparare a stare a galla da soli con la consapevolezza che da soli non si può imparare a nuotare: c’è bisogno di qualcuno che ce lo insegni. Insomma, una specie di “About a Boy” de’ noantri che sembra volerci ripetere il suo ‘nessun uomo è un’isola’ ai tempi dei viaggi clandestini. E c’è pure un’isola all’interno del film, che si ribalta a voler cambiare la sua prospettiva. È un film che invita a guardare la realtà con occhi diversi, con gli occhi di chi ‘il grande viaggio’ lo compie davvero tutti i giorni. Ma a cambiare prospettiva il protagonista non ci riesce e il finale – nonostante i colori accesi di un cartone animato venuto male – è di un’amarezza che lascia sconcertati. Non sarà mica commedia all’italiana?
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