Regia di Neal Sundstrom vedi scheda film
Il quinto capitolo della serie mannara per eccellenza, nonostante i suoi scarsi successi, è più un giallo in classico stile whodonit che un vero e proprio film horror. Contaminato da “Dieci Piccoli Indiani” e “Il Gatto e il Canarino”, racconta di un gruppo eterogeneo di persone, quasi tutte del mondo dello spettacolo o comunque del mondo che conta, che vince un pranzo in un vecchio castello ungherese restato chiuso per 500 secoli e ora riaperto misteriosamente dal conte ereditario. Uno ad uno, i commensali inizieranno a sparire attaccati da una bestia feroce che vive nelle secrete del castello. Quando il massacro risulterà evidente ai sopravvissuti inizierà una spietata caccia al mostro. Anche se il codice del racconto giallo è accademico quindi accettabile nel gioco di suspence, il film è davvero qualcosa di poco conto. I dialoghi sono tra i più puerili che si potevano scegliere e la regia non fa nulla per essere un tantino personale. La luna piena arriva solo nel finale, nessuna trasformazione, pochissimi i nudi e pochissime le truculenze, quasi tutte fuori campo. Le convenzioni con il genere saltano, non tanto a favore di una riscrittura originale di esse, ma per ossequio al prodotto più lineare e soporifero del mercato home video.
Anche se qualche idea azzeccata c’è, come il lupo mannaro che salta fuori da un muro di neve, il grosso del film non suscita né emozioni né interesse proprio perchè manca di anima. L’agnizione finale è talmente posticcia da irritare, non solo per la sua sconclusionatezza, ma anche per la messa in scena e la direzione artistica. Resta apprezzabile l’attenzione al modellismo. Infatti, il castello ripreso nella sua totalità è una miniatura tartassata da neve finta, e anche gli esterni innevati, girati in studio, riescono a dare un effetto onirico che però si castra da solo con la propria puerilità.
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