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Mani in alto

Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Mani in alto

di alan smithee
8 stelle

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39° BERGAMO FILM MEETING - OMAGGIO A JERZY SKOLIMOVSKI

Cinque medici, quattro uomini ed una donna, si riuniscono per festeggiare l'anniversario della laurea di medicina raggiunto assieme anni prima. Mentre quattro di loro sono professionisti realizzati ed apprezzati, il quinto, ovvero il nostro Andrzej Leszczyc, è in realtà il solito ribelle fallito di gioventù, che non ha saputo trarre vantaggio dalla propria insofferenza per affermarsi negli studi veterinari che lo avrebbero dovuto rendere un medico specializzato.

Un suo scherzo goliardico dei tempi di poco successivi alla laurea, in cui il ragazzo raffigurò in una enorme effigie la figura di Stalin rappresentata con quattro occhi ammonitori atti a sottolinearne il controllo totale, fu la goccia che fece il bicchiere della sopportazione delle autorità che avrebbero potuto garantirgli un futuro da professionista realizzato.

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Nel film, concepito nel 1967, il viaggio all'interno di un claustrofobico vagone di un treno merci, trasporta i cinque attraverso un serie di goliardie degne degli anni degli studi, e si completa di un prologo inserito successivamente, ben quattordici anni dopo, ovvero nel 1981, quando il film, bloccato alla sua uscita per problemi di censura (la causa scatenante fu proprio la scena con il ritratto storpiato di Stalin), poté finalmente apparire sugli schermi.

Tramite questo nuovo, pungente e caustico inserto iniziale, destabilizzante non più del resto della trama, al solito piuttosto complessa da decifrare e tutta movimenti istintivi che paiono ispirati sul momento senza un vero e proprio canovaccio narrativo, Jerzy Skolimowski tenta di dare una visione di quello che rappresenta il futuro del nostro irrequieto Andrzej, in un contesto di scontri civili tra la Varsavia comunista di quell'inizio anni '80, la Londra caotica manifesto dell'Occidente più convinto,  e la guerra civile libanese, raffigurata per l'occasione grazie all'utilizzo di qualche frammento del film coevo di Volker Schlondorff, L'inganno (1981), in cui un Jerzy Skolimowski quarantatreenne figurava tra gli interpreti.

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Un film che rappresenta il potere castrante di un atto di censura che diviene manifesto di mancanza di libertà di pensiero, oltre che d'azione, in un film che appare ancor oggi angosciante e sinistro grazie a quel suo prologo dedicato, senz'altro con coerenza, alle devastazioni di un Libano oppresso da una guerra civile senza tregua e alle rivendicazioni di un Occidente che si organizza a difesa di quegli scioperanti polacchi che daranno vita di li a poco ad un sindacato destinato ad affermare le proprie rivendicazioni come si rivelò Solidarnosc.

Nel suo piccolo anche il ribelle e perennemente irrisolto Andrzey Leszczyc ha combattuto la sua rivoluzione, vivendo di persona, ma con orgoglio, il duro prezzo del trovarsi sempre contro il sistema, ostacolato ed oppresso da una società da cui non riesce ad afferrare quell'opportuno e naturale stimolo sufficiente a motivarsi per distinguersi, realizzarsi ed eccellere come han fatto i suoi colleghi. 

 

 

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