Regia di Lucien Förstner vedi scheda film
Debutto in regia per un regista tedesco ispirato dalla reale vicenda di Bela Kiss, serial killer ungherese attivo durante la Prima guerra mondiale. Lungo e mal sviluppato, con evoluzione splatter nella mezz'ora conclusiva.
Durante la prima guerra mondiale, a Badapest Est, un feroce assassino mai catturato e noto come Bela Kiss, uccise 24 ragazze conservandone poi i cadaveri dentro barili metallici, immersi nell'alcol. A distanza di un secolo, cinque rapinatori - in fuga dalla polizia - trovano rifugio in un hotel. Ma una serie di sanguinari avvenimenti inducono a far pensare, per quanto assurdo, che Bela Kiss sia ancora in vita.
Film ispirato dalla reale figura del serial killer ungherese Bela Kiss, noto anche come Mostro di Cinkota. Mai catturato, esordì nel delitto quando scoprì che la moglie lo tradiva con un amante. Bela Kiss si è lasciato alle spalle una lunga scia di sangue, sparsa nel biennio 1912/1914. Le vittime erano tutte ragazze in cerca di marito, avvicinate mediante false inserzioni di matrimonio. Contemporaneo del parigino Henri Désiré Landru (Barbablù), Bela Kiss viene scelto come soggetto per il debutto in regia -ad oggi unico film- del regista tedesco Lucien Förstner.
Dopo un suggestivo incipit girato in bianco e nero ambientato nel 1916, nel quale alcuni militari scoprono i barili con i corpi delle vittime di Bela Kiss, il film propone un brutale omicidio (ai danni di un ranger che ha scoperto l'identità dei ragazzi, in fuga dopo avere rapinato una banca) per poi ristagnare -oltre un'ora- all'interno dell'Hotel senza mai riuscire a trovare un vero filo conduttore. Alternando scene ambientate nel primo ventennio del XX° Secolo, girate con un fastidioso effetto "patina" che ne lascia trasparire evidente elaborazione in CGI, Bela Kiss sprofonda maldestramente nel thriller solo nella mezz'ora conclusiva. Ma l'assunto "dell'immortalità" del killer, nonché la compiacente parentela che lo asseconda, appare troppo forzato, cioè a dire utilizzato come blando escamotage per dare un senso al film. Che purtroppo, invece, senso non ha.
L'unica particolarità, che lascia il segno, è che in un paio di scene drammatiche il punto di vista delle vittime viene soggettivamente associato a quello dello spettatore, costretto così ad immedesimarsi nei terrificanti momenti che precedono la morte violenta degli sventurati. Un po' troppo poco, comunque, per giustificare il tempo (superiore a 105 minuti) richiesto per visionare questo horror ben poco riuscito. Da segnalare l'esasperata violenza espressa negli ultimi venti minuti, con una delle protagoniste costrette a nascondersi in una vasca piena di sangue per poi emergere all'improvviso, in una scena che parebbe essere un omaggio al nostro Antropophagus (Joe D'Amato, 1980). Il titolo originale, vista anche la conclusione aperta, probabilmente è stato pensato in funzione dell'idea di farne un sequel. Idea poi rimasta, fortunatamente, incompiuta.
Curiosità
Alla figura del sanguinario assassino è dedicato anche un lungo racconto a fumetti pubblicato dalla Ediperiodici per la serie Terror gigante (n. 86, Lo sterminatore, uscito nel dicembre del lontano 1976), poi ristampato dalla stessa casa editrice in versione tascabile, nella collana Fatti di sangue (Lo spietato, n. 22 - giugno 1993).
Curiosità
"Proprio l'imperiosità del comando "non uccidere" ci assicura che discendiamo da una serie lunghissima di generazioni di assassini i quali avevano nel sangue, come forse ancora abbiamo noi stessi, il piacere di uccidere." (Sigmund Freud)
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