Regia di Dan Scanlon vedi scheda film
I numeri parlano chiaro. Sono 200 i milioni di dollari stimati per la produzione a fronte di incassi globali che si attestano intorno ai 140, con poche possibilità di recuperare l'investimento, causa il riacutizzarsi, ovunque, dell'emergenza sanitaria. Nel loro estremo e cinico rigore le cifre dicono che "Onward" è stato un flop al botteghino e fra dieci/venti anni quando, si andranno a rileggere i dati dei biglietti staccati, difficilmente qualcuno ricorderà che fu la pandemia, non il film in sé, a causare l'emorragia nelle casse di Walt Disney. Qualcuno rammenterà che il film uscì in concomitanza con il lockdown e così collegherà i risultati del box office alla sensibile riduzione delle settimane di permanenza in sala e, come conseguenza, del numero di paganti, specie nel martoriato mercato domestico. Per i più il film Pixar godrà dallo scarso hype generato dell'assioma incassi contenuti/spettacolo mediocre. Fermo restando che la casa di Topolino può ancora sfruttare il film sulla piattaforma per convincere qualcuno ad abbonarsi e limare, così, le perdite, trovo sia un peccato che il film rimanga, indissolubilmente, legato alle entrate fin qui generate, questo perché "Onward", pur non essendo un capolavoro, offre comunque un buonissimo spettacolo e alcuni interessanti punti di partenza per lo sviluppo della trama.
Iniziamo col dire che il film diretto da Dan Scanlon ha un target un po' diverso da quanto Pixar ci ha abituati. A mio avviso, e ne ho avuto riscontro in sala, il film è rivolto soprattutto ai ragazzini della pre-adolescenza che stanno mettendo il naso fuori casa e stanno assaporando le gioie e le responsabilità di una vita propria al di fuori della rassicurante protezione familiare. I fratelli Ian e Barley si trovano giust'appunto uno al di qua e uno al di là del confine rappresentato dal desiderare l'emancipazione e viverla davvero. Ian è timido e impacciato e non ha vissuto molte esperienze mentre Barley è un ragazzino con una personalità precisa, poco conformata e parecchio vulcanica. Lo scontro dialettico tra i due fratelli è causato dall'effetto repulsione/attrazione percepito dal giovanissimo Ian verso il mondo "più maturo" del fratello, il quale è anch'esso un teen-ager ma da collocarsi ad uno step più elevato nell'evoluzione del comportamento giovanile che prevede un diverso grado di maturità e l'adozione di maggiori responsabilità con conseguente carico di difficoltà da affrontare con l'aumentare dell'età. Ian, insomma, è chiamato, alla difficile scelta se rimanere un fanciullo o crescere accettando onori e oneri di una nuova condizione e maturità psico-fisica. Ian è rimasto a lungo nel bozzolo famigliare tessuto dalla madre e dal fratello Barley e quando, finalmente, rompe gli indugi e con ali irrobustite dall'esperienza incrina l'involucro protettivo che l'ha accudito per lungo tempo, iniziando a volare da solo, comprende la bellezza del legame con Barley e l'importanza del sostegno fraterno goduto dalla morte del padre. Onward, dunque, è crescita e formazione in età puberale.
Esulando, invece, dal contenuto morale "Onward" mi è sembrato un congegno piuttosto furbo che ha proposto un quadro iconografico familiare costituito da elfi e folletti, di gran moda negli ultimi anni (Frozen e Trolls ndr), seguendo la tattica più prudente, per un film che non può contare su un rassicurante e fidelizzato franchise alle spalle, di riproporre elementi narrativi e visivi già sfruttati nel breve periodo. Nonostante la cautela gli sceneggiatori Pixar hanno provato a rimescolare le carte aggiungendo alla tradizione nordica un campionario di esseri magici che affondano le radici nella mitologia ellenica come il centauro e il ciclope che a vario titolo ostacolano il cammino di crescita del giovane o la manticora che, nonostante l'aspetto poco rassicurante e la fama di crudeltà, aiuta la madre a cercare i propri figli impegnati nell'avventurosa ricerca della pietra magica che può riportare in vita, per un breve tempo, il padre.
Il film ha una struttura circolare e miscela avventura e formazione in modo sapiente anche se mi è sembrato meno pirotecnico di altri film animati della casa americana. Bella, invece, la reinterpretazione dell'evoluzione tecnologica e antropologica dell'umanità secondo Disney. La tecnologia ha lentamente soppiantato una magia spesso incomprensibile e difficile da insegnare e gestire. Il risultato è un mondo abitato da esseri mitologici ma senza più "tocco" che non ricordano più i poteri dell'antichità e nemmeno il proprio, ormai inutile, passato. Per questo motivo i miti delle civiltà umane sono vetusti poiché risalgono a tempi remoti in cui solo la magia di stregoni e pietre pulsanti, di cavalli alati ed esseri antropomorfi riusciva a spiegare concetti oscuri e realtà incomprensibili che la scienza avrebbe smascherati nel corso dei secoli spazzando via credenze e superstizioni millenarie. Non c'è più bisogno di un mago che accenda per noi il fuoco sacro degli dei per cucinare o riscaldare ma c'è ancora bisogno della fantasia. La magia che ne scaturisce, permette di raccontare storie sempre diverse e mai superflue che ci sorreggono come un vincastro fatato nella vita di tutti i giorni anche quando non siamo in grado di "vedere" ed i nostri "piedi" procedono incerti col rischio di farci inciampare nelle asperità del cammino. Questa la lezione più cara che mi hanno lasciato i fratelli Lightfoot in tempi estremi, quasi profetici, in cui servono fiducia, speranza, complicità ed un piede leggero per continuare la via.
Cinema Teatro Primavera - Vicenza
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