Regia di Tom Holland (III) vedi scheda film
Thriller psicologico al quale hanno messo mano artisti consolidati (Tom Holland in regia, Victor Miller ai testi e Manfredini alla sound track). Nonostante i promettenti nomi del cast, ne esce un film prevedibile quanto inverosimile.
Il piccolo orfanello Peter (Luke Macfarlane), attratto insolitamente dalle bambole, è in custodia dello zio Charles (John Dugan), un laido individuo, pedofilo e sadico. Sfidato al gioco di mani (sasso, carta, forbici da cui il titolo), Peter perde sempre e gli tocca soggiacere agli abusi del perverso zio. Passano gli anni, e il trauma infantile dà i suoi amari frutti: indossando la macabra maschera dello zio, Peter cattura, sevizia e sfida (libertà o morte, appunto al gioco "sasso, carta, forbici") ben tredici ragazze. Colto in fragrante dal detective Doyle, viene considerato infermo di mente e destinato alla reclusione in un ospedale psichiatrico. Data la buona condotta -e il lavoro psicologico operato dalla dottoressa Bauer (Tatum O'Neil)- dopo alcuni anni Peter viene rilasciato e torna a vivere nella casa dello zio. Ma non sono i fantasmi del passato a riportare in lui pulsioni omicide, bensì la certezza di avere operato con un socio, Aaron, fratello gemello di cui nessuno è a conoscenza. Un giorno, alla porta di casa di Peter si presenta Ashley (Jennifer Titus), sorella dell'ultima vittima del serial killer, spacciatasi per una scrittrice intenzionata a pubblicare una biografia dell'assassino.
Per una curiosa combinazione, tre pilastri legati a classici dell'horror si riuniscono in occasione di questa produzione americana. In regia viene scritturato Tom Holland (Ammazzavampiri, 1985; Bambola assassina, 1988), in sceneggiatura e alle musiche troviamo, rispettivamente, Victor Miller e Harry Manfredini (entrambi coinvolti, negli stessi ruoli, in Venerdì 13, 1980). Le premesse, dunque, sono piuttosto promettenti. Un po' meno il risultato. Dopo un incipit sanguinario, il reparto spfx ricompone le valigie ed abbandona il set. Rock, paper, scissors procede quindi sul piano -minato- del thriller psicologico, sprofondando più volte in svarioni inverosimili. Perchè l'impianto di base prevede che la storia si sviluppi attorno ad un serial killer (talvolta reso compatibile vittima, a causa degli abusi subiti in tenera età) nei confronti del quale sia la scienza (rappresentata dall'incompetente dottoressa Bauer) che le vittime (la sorella in cerca di vendetta) si pongono in atteggiamenti a dir poco irrealistici. Ma l'intera impalcatura narrativa crolla soprattutto nel finale, con l'entrata in scena di un fratello gemello (che ha funzione di deux ex machina) del quale nessuno è a conoscenza.
Nonostante gli attori cerchino di essere il più professionali possibile, di nuovo sono errori o bloopers dovuti alla poca attenzione prestata anche al montaggio, che decretano la mediocrità del film. Peter viene arrestato, passa decenni in un istituto di riabilitazione psicologica, ma quando esce... ha lo stesso aspetto di quando è stato catturato! Per lui sono passati vent'anni... come fossero venti minuti. Dunque non è casuale la lunga gestazione del film: presentato per la prima volta nel 2017 al Nightmares Film Festival, dopo essere stato premiato (!!!) è rimasto nel limbo dell'incertezza distributiva, per essere poi stato reso pubblico solo recentemente, a luglio del 2019, uscendo direttamente in home video e su alcune piattaforme di streaming.
"Li chiamiamo mostri perché li sentiamo lontani da noi, perché li vogliamo 'diversi', diceva Goran nei suoi seminari. Invece ci assomigliano in tutto e per tutto. Ma noi preferiamo rimuovere l'idea che un nostro simile sia capace di tanto. E questo per assolvere in parte la nostra natura. Gli antropologi la definiscono 'spersonalizzazione del reo' e costituisce spesso il maggior ostacolo all'identificazione di un serial killer. Perché un uomo ha dei punti deboli e può essere catturato. Un mostro no." (Donato Carrisi)
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