Trama
Stéphane ha 35 anni ed è una star in ascesa del giornalismo investigativo francese. Hubert, invece, è una figura un po' più ombrosa, né gangster né imprenditore, che si muove in maniera enigmatica nei corridoi del potere. Ex talpa e testimone della corruzione della polizia nella lotta contro il narcotraffico, Hubert si propone di aiutare Stéphane a portare alla luce uno scandalo statale.
Curiosità
INTERVISTA AL REGISTA
Il suo film si apre con due cartelli che lo presentano come un'opera di finzione...
I cartelli sono in qualche modo ironici. Ricordano quelli che all'inizio di alcuni film dicono che sono "basati su una storia vera", risuonando quasi come un ricatto: "quello che ti stiamo mostrando è convalidato dalla realtà e tu pubblico non devi porti domande su ciò che ti mostro". Nel caso di Undercover, ho trovato divertente sovvertire leggermente le cose e invitare il pubblico a porsele invece le domande. All'inizio del progetto, ero tentato di mantenere i veri nomi dei luoghi, dei personaggi e delle istituzioni coinvolte, e di stravolgere la realtà in maniera più dinamica. Per motivi legali, era impossibile. Ho dovuto cambiare nomi e acronimi. Ma mi ha divertito che un film così documentato divenisse un'opera di finzione e tale si definisse invitando lo spettatore a distinguere ciò che è reale da quello che non lo è.
Perché ha scelto di adattare la testimonianza di Hubert Avoine, scritta con Emmanuel Fansten, allontanandosi dalla Corsica in cui ha girato i suoi primi film?
Da tempo avevo voglia di girare a Parigi, che è anche la mia città, dove vivo e trascorro molto tempo. Volevo trasmettere ciò che ho visto e sentito dopo gli attacchi del novembre 2015. Vivo a République, un quartiere sotto pressione quotidiana e molto esposto. Ho iniziato a pensare ai pericoli quando mi è stato offerto il lavoro di adattamento e creazione di una serie tratta da Undercover, il libro scritto da Avoine, ex agente sotto copertura dell'Antidroga, con Fansten, giornalista di Libération. Il libro ripercorre la parabola di Hubert e il suo avvicinamento ai cartelli messicani passando per l'Antidroga. Nel volume, denuncia ciò a cui ha preso parte e considera un pericoloso scivolone da parte della Francia nella lotta al narcotraffico. Seppur incuriosito, trovavo il libro lontano da me e dal mio campo di interesse cinematografico. Quando però ne ho incontrato i due autori, ho cambiato idea. Osservando il loro rapporto, ho realizzato che era quello su cui dovevo concentrarmi: la relazione, senza precedenti, tra un giornalista e la sua fonte.
Il film racconta dunque tanto la storia di un'amicizia quanto un'indagine.
Ho passato molto tempo con Emmanuel e Hubert, fino a quando questi non è morto nel 2018. Sono stati entrambi abbastanza generosi e coinvolti nel raccontarmi le cose e nell'accogliermi con loro mentre erano ancora nel bel mezzo della loro indagine. Hanno infatti continuato a incontrare persone legate al caso, a vedersi quotidianamente e a riflettere sugli eventi. Mi sentivo come uno stagista a cui veniva data la possibilità di accedere a segreti incredibili. Ed è così che è nata la voglia di farne un racconto di fiction, dall'incontro con Emmanuel, un giornalista di uno dei grandi quotidiani francesi che dà anima e corpo al suo lavoro nella Parigi di oggi. Ero pronto a farne sia una serie sia un film. Alla fine, ha prevalso il solo progetto cinematografico e il desiderio di raccontare il legame tra Hubert ed Emmanuel, la loro ossessione comune per l'indagine, il loro livello di linguaggio, l'estrema teatralità del loro dialogo. Era ovvio che raccontavano qualcosa sul mondo e su questi tempi che stanno per finire.
Il suo film è un mix di molti generi. Questo le permesso di evidenziare una certa realtà del narcotraffico di cui si parla poco nei media?
Il mio film si colloca tra il film investigativo e il cosiddetto "film sulla droga". Conoscere Hubert ed Emmanuel mi ha permesso di aggiornare la mia rappresentazione sull'argomento. In cosa consiste oggi la lotta al narcotraffico? Chi sono gli attori coinvolti? Quali strumenti si usano? Quali le strategie a cui si ricorre? Cosa comporta da un punto di vista politico, economico e filosofico? Direi che il mio film è allegorico: lo sfondo è quello del narcotraffico ma parla di capitalismo e società dello spettacolo. Le droghe sono il prodotto capitalista per eccellenza. Possiamo controllarne il commercio o possiamo fare solo un lavoro di intelligence? Si tratta di una guerra persa? Ci si pongono anche queste domande. Nel mio film, Hubert pensa che la lotta sia stata oramai compromessa e che lo Stato sia diventato il più grande trafficante di Francia. Stéphane, nome di finzione per Emmanuel, vuole dimostrare come la politica antidroga francese sia un chiaro fallimento, quasi criminale. Penso che esista un divario tra il modo i cui i media parlano del narcotraffico e la sua realtà infinitamente complessa.
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