Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
Paolo, Riccardo, Giulio e Gemma sono quattro ragazzi cresciuti nella Roma dei primi anni ’80. La loro amicizia, dopo periodi d’incomprensione e di allontanamento, proseguirà inalterata fino ai giorni nostri.
Gabriele Muccino scrive e dirige una nuova Meglio gioventù con un manipolo di attori che fanno parte della ex meglio gioventù del cinema di casa nostra, per un paio di loro ci si affaccia già sulla soglia dei cinquanta, usando nuovamente parte del cast dei suoi film storici, da L’ultimo bacio a Ricordati di me passando per Baciami ancora, e cercando di raccontare come gli anni più belli siano quelli delle frequentazioni nate sui banchi di scuola o fra semplici vicini di casa, non necessariamente appartenenti al medesimo ceto sociale. Amicizie che si accompagneranno per sempre, fra infortuni personali, famiglie che si sfaldano, dove gli aerei collidono con le Torri Gemelle, il Muro di Berlino crolla, i litigi sembrano irreparabili e gli ideali giovanili sono accantonati per fare posto al pragmatismo dell’età adulta. Nonostante tutto questo i quattro protagonisti, ai quali aggiungere Francesco Acquaroli nel ruolo di un politico vittima di Mani Pulite e la figlia Margherita, stereotipo di donna arricchita e con tempo libero da dedicare alla beneficenza, non si perderanno mai veramente di vista. Il dodicesimo lungometraggio di Muccino fallisce proprio negli eccessivi stereotipi che definiscono i protagonisti. Dall’avvocato carico d’ideali di gioventù, impersonato da Favino, ma che decide di passare al ‘lato oscuro’ per riscattare una vita fatta di stenti, a Kim rossi Stuart, professore di lettere e greco ed eterno precario, oltre che altrettanto idealista e da sempre perso nei propri pensieri, all’appassionato di giornalismo e critica cinematografica, portato in scena da Santamaria, che vive con l’aiuto della moglie, per finire con Micaela Ramazzotti, che grazie ad un’eccellente prova ha per l’ennesima volta dimostrato di non essere solamente la compagna di Paolo Virzì. Centoventinove minuti al termine dei quali si giunge ad un epilogo carico di buoni sentimenti. Da un cast così ben assortito, e da un regista che in passato aveva saputo esplorare con profondità rapporti di famiglia e interpersonali, ci aspettavamo però decisamente di più.
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