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Gli anni più belli

Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film

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La recensione su Gli anni più belli

di alan smithee
3 stelle

Quarant'anni di vita dalla tarda adolescenza dell'energia, della complicità e della speranza, alla piena maturità della consapevolezza della propria insoddisfazione o disillusione.

Quarant'anni di amicizie fondamentali che i differenti destini e corsi di vita provano in tutti i modi a deviare e separare, senza riuscirvi per davvero.

Quarant'anni di vita in un Paese che cambia, evolve, seppur quasi sempre non in meglio.

Quarant'anni di vita in un mondo lacerato da violenze inaudite che lasciano il segno e cicatrici spesso indelebili.

Il tempo che passa scalfisce la roccia, figuriamoci come riesce a plasmare i corsi esistenziali delle fragili ed effimere vite umane.

Gabriele Muccino torna al cinema per raccontarci una storia d'amicizia che si evolve, trasforma, modifica, mette in discussione, attraverso un lungo arco temporale in cui tutto si modifica e scompone.

L'amicizia, e pure l'amore o la passione che coinvolge tre dei quattro amici, li unisce e li separa con la stessa medesima irruenza, e crea solidarietà e solchi apparentemente incolmabili, che tuttavia solo il tempo è in grado finalmente di smussare, ed appianare, quando ormai la maturità non ha prodotto certezze, ma ha cicatrizzato le molte ferite, e creato le basi per acquisire l'esperienza necessaria per comprendere che l'impulso va gestito e smorzato.

Con quattro tra i migliori e più noti attori quaranta/cinquantenni in circolazione (Favino, Rossi Stuart, Ramazzotti, Santamaria), Gli anni più belli poteva davvero ambire a diventare il nuovo "C'eravano tanto amati" a cavallo tra due secoli e due millenni.

Invece, purtroppo, Muccino si perde puntando sull'effetto galvanizzante ed energetico legato al ritmo incalzante, al luogo comune più sconcertante e prevedibile (tutti i personaggi che fanno da corollario ai quattro nostri eroi, ci ricadono inevitabilmente, specie quando si sconfina nella mala politica e nella corruzione, con le macchiette insopportabili e ormai fuori tempo dell'intoccabile rozzo e greve salvato in extremis, e della di lui figlia viziata e perfida che segna il ritorno fuori tempo massimo di Nicoletta Romanoff, creatura mucciniana per antonomasia con cui l'azzardato, ma anche coraggioso cineasta, pare in qualche modo autocitarsi).

Per non parlare degli spudorati riferimenti plateali, completamente azzardati, a capolavori assoluti con al centro l'emblema della romanità, come qui avviene con la scena il bagno nella (stessa) fontana di Anitona e Marcello;

o ancora delle musiche altosonanti ed urlatissime del Baglioni d'annata, così come di quello originale, ingaggiato per l'occasione per creare l'inno un po' sguaiato all'amicizia e al tempo che passa e consolida anche quando pare distruggere ed allontanare che porta il medesimo titolo del film.

Tutto apparentemente impeccabile e perfetto quanto a excursus storico, ritmo e vitalità dei personaggi coinvolti.

Ma in realtà, piuttosto, tutto troppo urlato, troppo sguaiato, retorico e smargiasso per regalarci genuine emozioni plausibili in una operazione come questa; tutto troppo furbamente e deliberatamente "muccinesco" per riuscire a risultare digeribile senza creare irritazione e nervosismo in me spettatore armato delle migliori intenzioni, dopo le cocenti delusioni di molti film precedenti dell'autore.

Quanto ai "fantastici quattro", Pierfrancesco Favino fa un po' il Will Smith de "noantri" nel trasporre sullo schermo e rendere plausibile il professionista che si fa da sé e rimane invischiato nella melma che lui stesso ha aiutato a far rimanere indenne dalle sacrosante, plausibili condanne. Bravo come al solito, anche se spesso a rischio maniera, Kim Rossi Stuart, insegnante precario ed innamorato che non cede ed incassa fino a riuscire a spuntarla; un po' sottotono - anche come ruolo - il proletario sfigato e senza futuro reso con navigato carisma da Claudio Santamaria, qui alle prese con un ruolo sin troppo defilato e prevedibile che non gli consente di brillare come ha fatto spesso e di recente in altre occasioni. Per quanto riguarda Micaela Ramazzotti, le considerazioni sono le stesse che puntualmente riferisco in ogni sua prova ormai da anni, e che vedono l'attrice alle prese sempre e sostanzialmente con lo stesso, medesimo personaggio ormai ultra abusato di donna dolente e delusa dalla vita e dalle prospettive che la circondano. 

Quanto infine agli altri quattro, ovvero i giovani protagonisti tardo-adolescenti (Alma Noce, Francesco Centorame, Andrea Pittorino, Matteo De Buono), i pur validi e freschi interpreti coinvolti, si ritrovano costretti a mimare, chi più, chi meno, non tanto le gesta dei loro rispettivi personaggi adulti, quanto, piuttosto, i vezzi dell'attore celebre di cui si trovano costretti a ripeterne le (per loro spesso innaturali e forzate) irrinunciabili mimiche facciali ed interpretative, talvolta davvero ingombranti, come nel caso - debordante ed oltre misura - che si riscontra nel personaggio di Gemma/Ramazzotti.

 

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