Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
Ogni generazione ha diritto al proprio "C'eravamo tanto amati".
A mano a mano che guardavo questo film (senza essermi preventivamente informato su chi fosse il regista) mi accorgevo dei continui “furti di sceneggiatura” operati nei confronti di un’opera che per me è leggendaria, ovvero “C’eravamo tanto amati” di Scola. Un po’ infastidito sono arrivato fino al punto in cui il personaggio interpretato da Favino dice al personaggio interpretato dalla Ramazzotti che, pur avendola lasciata, ha continuato sempre a pensarla. Al che lei risponde invece di non averlo mai pensato: esattamente come la Sandrelli ribatte a Vittorio Gassman nell’altro film. A quel punto ho capito che i riferimenti erano voluti: un “remake”, insomma, senza la dichiarazione esplicita di essere un “remake”.
Allora mi sono informato e, naturalmente, ho trovato facilmente una montagna di informazioni su questo paragone, oltre ad alcuni commenti davvero non lusinghieri ed al limite dell’offensivo all’indirizzo di Muccino. In effetti, “C’eravamo tanto amati” è molto più originale, molto più toccante e addirittura (come linguaggio cinematografico), molto più innovativo del film di Muccino. Anche la recitazione, in “Gli anni più belli”, è lontana dalle vette della commedia di Scola (anche se Favino è davvero molto, molto bravo e si conferma uno dei migliori attori italiani del momento). Insomma: sparare a zero su questo film è facilissimo. Ma “Gli anni più belli” non va sottovalutato e ci sono alcuni elementi interessanti da considerare: il film di Scola era “moderno”, “Gli anni più belli” è “postmoderno”. Nel film di Scola ci si aspetta che i protagonisti siano coerenti e l’arrampicatore sociale interpretato da Gassman è squallido e meschino, tanto che davanti alla miseria esistenziale di questo povero ricco il commento finale è “boh”. Nel film di Muccino, il personaggio interpretato da Favino, viene invece trattato con indulgenza.
A Muccino non pare interessare la “coerenza” dei suoi personaggi mentre per Scola l’avventura degli amici nel corso di una trentina d’anni pare lo svolgimento di una tesi ideologicamente orientata. Lo si capisce dall’inizio: i personaggi di Scola sono partigiani attivi e rischiano consapevolmente la vita, i personaggi di Muccino si ritrovano in mezzo a degli incidenti di piazza senza esserne consapevoli e rischiano la vita non per scelta ma “incidentalmente”. A Muccino pare interessare di più il fatto che con il tempo, con le diverse esperienze, con i mutamenti delle prospettive personali e sociali, le persone cambiano, pur restando “sotto sotto” se stesse.
I legami interpersonali rimangono preziosi nonostante tutto. Per i personaggi di Scola la sopravvivenza fisica è una lotta e quella esistenziale è una necessità, pena una specie di “dannazione”. Muccino non è certo manicheo: i suoi personaggi sopravvivono comunque e, continuando a vivere, per dirla con Dumas, i loro ricordi terribili (ad esempio il ferimento di “sopravvissuto”) hanno il tempo di diventare dolci ricordi. Ogni generazione ha dunque il diritto di scrivere il proprio “C’eravamo tanto amati” e a me, che sono di qualche anno più maturo di Muccino, viene da pensare quanto siano stati fortunati i ragazzi nati nei tardi anni sessanta rispetto a quelli nati trent’anni prima. Ancora più fortunati sembrano i personaggi, appena tratteggiati, dei figli dei protagonisti. Nel film di Scola, il riferimento transgenerazionale non era compreso (o meglio, i riferimenti ai figli erano anch’essi funzionali alla tesi di fondo) e questo è certamente uno dei meriti di Muccino, che sembra ricordarci quanto l’amore per i propri figli sia, in realtà, l’aspetto più importante.
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