Regia di Jean Rollin vedi scheda film
In un castello delimitato da uno sconfinato cimitero, due giovani amanti sono costrette a scoprire quanto sia labile il confine tra piacere e dolore, tra gioia e disperazione, tra paura ed estasi. Il bacio di un/a vampiro/a diventa qui perfetta metafora di come tutte le emozioni, tutti i pensieri, possano essere facilmente reversibili.
Marie (Marie-Pierre Castel) e Michelle (Mireille Dargent) -due ragazze vestite da clown in compagnia di un amico, in fuga e tallonate da un'auto- dopo una sparatoria con gli inseguitori finiscono per perdersi nella campagna francese. Passando attraverso un cimitero, riescono a raggiungere un castello sperando di trovare aiuto, senza immaginare che i suoi occupanti sono vampiri.
Dopo un incipit sottotono girato apparentemente in fretta e furia e senza troppa attenzione, Rollin perfeziona il tiro. Non appena, relativamente presto, arriva a mettere in scena quello che veramente gli interessa. Ovvero, al di là di una trama necessaria ma non cercata, lo scenario che si va a sviluppare procede per improvvisazioni. Qualche lapide, i versi delle civette, croci sparse un po' ovunque: le due giovani spregiudicate si trovano nel bel mezzo di un cimitero, ossia l'anticamera dell'aldilà. E da questo punto in poi, Requiem pour un vampire diventa grande cinema. La bella fotografia permette di far risaltare i colori (sgargianti nell'abbigliamento delle due protagoniste) in netto contrasto con il luogo di quiete che richiede, agli occasionali ospiti di passaggio, assoluta, profonda, deferenza.
Dopo l'incidente con i becchini (nel quale Michelle rischia d'essere sepolta viva), le ragazze procedono intimorite, quasi presagendo che il loro perdersi geograficamente sta assumendo una sfumatura allegorica. Non solo hanno smarrito il senso dell'orientamento ma, poco più tardi, anche il limite morale fuggirà al loro controllo. Rollin gira divinamente ogni scena, facendo particolare attenzione alla destinazione finale, un diroccato castello. Quando Marie e Michelle, scendendo da lunghe scale in sasso disastrate dirigono verso l'ingresso, la macchina da presa -in campo lungo- le fissa mentre escono a destra. L'obiettivo morbidamente si muove in senso opposto, per riprendere di nuovo le due ragazze che, in opposizione al punto macchina e alla logica, compaiono a sinistra. Un artefatto prospettico che sembra alludere al ribaltamento della situazione, già avviato con il cambio di atteggiamento -non più ludico e divertito ma apprensivo e impaurito- delle due spaurite ragazze.
Una volta dentro al castello, Rollin può sfogare il suo estro visivo, cercando spunti macabri e sensuali al tempo stesso. Il vampiro che tutto domina, riposando durante il giorno in una gotica cripta, non solo si nutre di sangue ma apprezza molto anche le distrazioni erotiche. Nei sotterranei dell'antica e decadente struttura, sono perennemente allestiti macabri festini, con prigioniere nude e sottoposte a ripetute violazioni. Servi, vampiri e altri non meglio definiti personaggi, si accaniscono sui corpi nudi della vittime legate -alcune in sospensione- con corde, fustigate, morbosamente palpate e infine violate intimamente. In un delirio inarrestabile, tra seni strizzati a forza e lungamente, frustini che percorrono in lungo e in largo le schiene scattanti a destra e sinistra e vulve -con folto pelo pubico- violate (anche da pipistrelli!), Rollin abbandona il genere puro per contaminare il film con una gradazione sexy decisamente insolita in un horror.
La surreale ambientazione è resa particolarmente atipica anche per via di dialoghi rari e sintetici. Tutto il primo tempo è praticamente simile ad un film muto, mentre la stimolazione acustica arriva solo da pezzi musicali eterogenei dovuti alle mistiche note prodotte da organi, violini, batterie e pianoforti. L'aspetto sessuale, essenziale e predominante nel film, matura in progressivi spostamenti etici e morali: dall'accoppiamento lesbico delle due ragazze (in un primo momento convinte d'essere sole nel castello), si passa al bondage con graduale incremento di perversione. Requiem pour un vampire finisce così per essere un tipico e peculiare film di Rollin, dove elementi macabri (fantastica la scena con gli scheletri coperti da lunghi mantelli e incappucciati) si fondono armoniosamente ad una sensualità contorta ma prepotentemente affascinante. La trama non ha più senso a questo punto. E non potrebbe essere diversamente, quando la fantasia prende il sopravvento. E quel finale con Marie e Michelle in fuga -in qualunque direzione vadano, si ritrovano sempre dinanzi al castello- è quello più appropriato, in grado di chiudere mirabilmente un film astratto, dal forte contenuto visionario e poetico. Un film lirico, emozionante, dunque vincente a dispetto della razionalità, anch'essa vittima di sensuali vampire assetate d'amore, più che di sangue.
"Direi che la signorina Lucy è più calorosa di una sposa di giugno che cavalca nuda un cavallo senza sella in mezzo al Sahara.” (Billy Campbell)
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