Regia di Marcel Walz vedi scheda film
Remake di un classico che ha segnato la storia del cinema horror. Coproduzione tra USA e Germania che vede, al timone di regia, l'eccessivo Marcel Walz, qui insolitamente più contenuto e in grado di dare al film una forma personale grazie anche ad uno sviluppo differente e un maggiore approfondimento psicologico del protagonista.
A Parigi Fuad Ramses (Robert Rusler) - con il supporto della moglie Louise (Caroline Williams) e della figlia Penny (Sophie Monk) - gestisce un ristorante americano che versa in gravi condizioni finanziarie. Dopo avere sospeso la cura di psicofarmaci, prescritti per una grave depressione, Ramses inizia a frequentare ossessivamente un museo egizio, all'interno del quale crede di trovarsi di fronte alla dea Ishtar (Sadie Katz), un'antica divinità destinata in passato a ricevere costanti tributi di sacrifici umani a sfondo antropofago. Ramses, dopo avere rubato dal museo alcuni elementi legati ai sanguinari rituali (una statua di Ishtar, un piccolo altare e una maschera da sciacallo) è convinto non solo di ingraziarsi i favori sessuali della dea, ma di riuscire a recuperare economicamente l'attività di ristorazione. Vede così, nei panni di un vagabondo accolto dalla moglie nel locale, una probabile via d'uscita alla crisi economica. Dopo averlo ucciso, con alcune parti del corpo prepara pietanze che risultano essere molto gradite dalla clientela. Sempre più spinto da uno stato di delirante follia, Ramses, per rifornire la cucina di carne fresca, arriva a uccidere gli amici della figlia e un'altra ragazza, fermatasi a notte fonda per chiedere soccorso, dopo essere rimasta a piedi con l'auto.
"Signore e signori, state per assistere ad un film estremamente crudele e brutale. Questo film è vero horror. Contiene scene malate e anormali. Contiene scene che le persone con problemi cardiaci, in nessun caso, dovrebbero guardare. E lo stesso per chiunque soffra di paura... dovrebbe lasciare il cinema. Consigliamo vivamente, a tutte le persone facilmente impressionabili, di lasciare immediatamente il cinema. Non saremo responsabili di eventuali conseguenze: per i vostri incubi, per il vostro trauma... e nemmeno nel caso dobbiate vomitare. Non dimenticate che siete stati avvertiti!"
Con questa singolare introduzione, pronunciata da una voce fuori campo fedele alla teatrale promozione di un film thriller in stile William Castle o, appunto H.G. Lewis, prende avvio il remake di quello che è stato, all'unanimità, considerato il titolo apripista del filone horror splatter. Deputato in regia, nientemeno che il teutonico Marcel Walz, cineasta con in curriculum solo titoli dal contenuto di inusuale efferatezza, da noi arrivato direttamente in home video con i sanguinari Seed 2 e Le petit mort - Nasty tapes. Uno che, in fatto di arte estrema impregnata di brutalità e crudezza, sa il fatto suo e che anche in questo Blood feast non si risparmia mettendo in scena una manciata di momenti veramente hard (en passant: uno sgozzamento iperrealistico; un'evirazione che farà chiudere gli occhi al pubblico di genere maschile; il taglio di una natica femminile; la rimozione della calotta cranica, con cervello a vista e malamente trattenuto con mano, vittima uno sventurato scampato in precedenza al maniaco; e poi ancora: accanimento su occhi, lingua e arti).
Però va detto che Marcel Walz, autore del soggetto assieme a Philip Lilienschwarz, riesce a realizzare un film che pur presentando gli stessi personaggi e il concetto base del modello ispiratore (l'ossessione per la violenta divinità egiziana Ishtar e i tributi di sangue a lei dedicati), va per la sua strada e che, al di là del semplice effetto "disgusto", presenta una prima parte con un ottimo approfondimento psicologico del protagonista, che manca invece nel film di Lewis. Ramses è qui prima di tutto un marito e padre di famiglia, impegnato in una deprimente attività, sottoposta alla crisi economica attualmente in essere in buona parte del Mondo. Non solo: l'attore che ricopre il ruolo, Robert Rusler, dimostra una capacità di immedesimazione (data anche dal pertinente physique du rôle, pressoché perfetto nei panni di egiziano di mezza età) e una padronanza di recitazione senz'altro superiore alla media degli interpreti che frequentano il genere. E anche il regista, supportato da una fotografia volutamente scura, dark, con predominanza di ombre e luci soffuse, compie con certo stile il suo ruolo riuscendo a infondere ritmo alle studiate, e ben realizzate, riprese.
L'idea di spostare la location dalla Florida a Parigi, con ripetuti campi lunghi della Torre Eiffel, contribuisce a dare un taglio personale al film che assume così una sua identità, una tipicità che, al di là della comunanza di titoli e intenti, lo rende sicuramente un remake originale, in grado di distaccarsi dalla più semplice (e spesso inutile) ripetitività. Tenendo conto anche di Blood feast 2: all u can eat (2002), più che di fronte a un remake pare di trovarsi a seguire un ipotetico terzo capitolo della serie. Lewis, regista del Blood feast originale (1963), compare brevemente, sul monitor di un computer, nella scena in biblioteca mentre spiega la storia della dea Ishtar, contribuendo involontariamente ad alimentare lo stato di delirante follia omicida del protagonista. Distribuito - eccezion fatta per una anteprima all'edizione 2016 del Fright Fest Film Festival - solo due anni più tardi in versione censurata in Canada e Usa, nei titoli di coda è dedicato allo stesso Lewis, morto a 90 anni poco dopo la fine delle riprese.
Il primo remake (non annunciato come tale)
In realtà, un tentativo di remake (non ufficiale) di Blood feast era già stato fatto dalla regista Jackie Kong quando nel 1987 uscì sugli schermi Blood diner (Il ristorante all'angolo). Tentativo fallimentare a causa di un registro impropriamente ironico, soprattutto nel secondo tempo.
"I grandi dolori non sono lacrimosi. Quando si è affranti dal dolore non si spande lacrime, ma sangue." (Philippe Gerfaut)
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