Regia di William Eubank vedi scheda film
È un film del tutto derivativo Underwater, che manipola materiale preesistente in un nuovo ma non originale assemblaggio per scolpire una prova d’attrice e guardarne il corpo muoversi in diversi contesti, in sottoveste o dentro ingombranti mute da palombari tecnologici. Partendo da un contesto del tutto analogo a The Abyss, contaminato con il film catastrofe con mostri di Cloverfield, l’andamento slasher di Alien, da cui mutua anche l’eroina (e i suoi succinti abiti, qui iniziali e là finali) dalla femminilità nascosta, assieme al tipico gioco al massacro dei ‘10 piccoli indiani’ in un andamento cronologico a seguire le dinamiche di sopravvivenza di un gruppo sempre più assottigliato, il film è tutto nello sguardo Norah, interpretata da Kristen Stewart, si apre e chiude con l’occhio di lei che osserva il mondo e quello che sta le accadendo.
Spettatrice e attrice di un disaster movie in cui è costretta ad avanzare costantemente per non rimanere intrappolata da un’immaginario troppo soffocante o da una situazione già vista col pretesto di salvarsi la vita, la Stewart avanza indomita quasi senza cambiare espressione, attonita e coraggiosa insieme, eppure convincente in un ruolo sommesso in cui rifiuta di assoggettarsi ad una condizione incontenibile. Privo di prolisse introduzioni o sottofinali esplicativi, relegati alle sigle iniziali e finali con brevi trafiletti di giornali e notizie a larga diffusione, la pellicola di Eubank si sostanzia nell’azione, che racconta seguendo la sua protagonista, gettata nella mischia action dopo pellicole d’autore e di ricerca, guardandola reagire e combattere le avversità della trama.
In un mondo sommerso di orrori inauditi, con una narrazione tutta la presente, Norah è l’unico personaggio a cui viene concessa la libertà di una scelta sul proprio futuro. Questa opzione, operata in prima persona, è basata su un passato inesplorato dalleimmagini ma enunciato con poche parole e palesato da scarni gesti, suggerito da un pendente al collo e da un ricordo dolente (sempre represso dal personaggio come dal film), i quali però condizionano l’andamento del finale privando il racconto di un esito più prevedibile. Ed è anche in questo scarto di orgoglio e tenacia che si sottolinea la preminenza di quella figura protagonista, pronta ancora a guardare quando la luce si spegne, così come lo stesso film si era acceso sul suo occhio riflesso nello specchio, distratto da altri pensieri e da un altrove lontano mentre l'improbabile invadeva lo schermo e trascinava trama e personaggio nel suo tragitto a tappe forzate verso la conclusione.
Lo sguardo del regista e della sua protagonista non è quello dell’innocenza e della sorpresa di fronte all’ineffabile, ma della risoluzione a giungere a destinazione, a chiudere un racconto (o una vita) dandogli un senso nuovo, anche se tutto sembra già visto. In questa cinefilia applicata, il film trova una sua strada, assieme al personaggio e alla sua interprete, che decide dove arrivare e perché avendo valutato tutte le altre opzioni, dopo aver vissuto altre vite in differenti contesti come in altre pellicole e scegliendo di farsi autore di sé. Così come il regista decide di muoversi in mezzo a scorie di déjà-vu e a sottrarsi alla ripetizione divertita di un normale postmodernismo per farsi narrazione veloce e sintetica, senza nostalgia ma guardando soltanto ad una coerenza da conquistarsi, Underwater è un film sullo sguardo della sua protagonista, che si fa attrice action senza rinunciare al suo passato di interprete esigente, difficile e diffidente, costruendo il personaggio in base a quelle scelte e trasformando la pellicola stessa nel manifesto di una possibile politique des acteurs.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta