Regia di Carmine Gallone vedi scheda film
Si parta dal presupposto che è ben poco gratificante per un regista come Carmine Gallone aver realizzato un film ambientato per metà dentro un teatro nell’anno in cui Luchino Visconti girò le prime scene di Senso proprio all’interno di un teatro. Il primo atto di Senso è un capolavoro assoluto per la straordinaria innovazione del montaggio dei vari piani narrativi e per la meravigliosa cura formale dell’immagine e di ciò che l’abita.
Le scene teatrali di Casa Ricordi, uscito pochi mesi dopo il film di Visconti, sono invece esemplificativi del gusto dell’epoca, poiché questo grande romanzone melomane dell’esperto Gallone è una sintesi sapientemente popolare del film-opera in voga nei primi anni cinquanta (e questo film chiude quella stagione breve ma dirompente presso il pubblico), del film di lusso (fotografia a colori, sfarzo scenografico, costumi attendibili) e il film all stars (leoni del teatro, astri in ascesa, dive europee, ex giovani amorosi).
Grandeur popolare all’ennesima potenza in cui l’affidabilità storica va a farsi benedire sull’altare del romanzo popolare, con i titoli di testa tra i più lunghi del nostro cinema (quasi quattro minuti di nomi a caratteri cubitali), Casa Ricordi prende a pretesto la piccola epopea di uno stampatore che s’inventa editore per intrecciare quadretti esistenzial-professionali dei più grandi musicisti dell’Ottocento, dal simpatico Rossini all’elegiaco Puccini passando per il tormentato Bellini, il passionale Donizetti e il patriottico Verdi.
Protagonisti di cinque episodi camuffati, i compositori sono rappresentati senza credibilità storica e in funzione dell’idea che a grandi musiche corrispondano grandi vite romanzesche, ma forse il più ispirato è il crepuscolare divo del ventennio Fosco Giachetti che ripropone Verdi dopo esserlo stato nel biopic del 1938, sempre diretto da Gallone. Gli altri giocano con baffi finti e costumi d’epoca buttandolo sul fascino lascivo e sul gigionismo recitativo (Marcello Mastroianni e Gabriele Ferzetti su tutti).
I Ricordi, rappresentati con fiuto infallibile e buon senso dell’affari come agiografia impone, sono l’ottimo Paolo Stoppa (deus ex machina), il giovane Renzo Giovampietro (troppo defilato) e l’ex divo Andrea Checchi (sobrio e misurato). Film che è anche un piccolo compendio su varie generazioni d’attori maschi, d’estrazione prevalentemente teatrale, al giro di boa della metà anni cinquanta, Casa Ricordi non va tuttavia al di là di una buona confezione illustrativa e gentile realizzata per celebrare un’originale ed ammirevole esperienza professionale con gran dispendio di mezzi a fini didattici e commerciali.
Resta comunque l’unico film italiano che racconta un’idea di editoria (ci sarebbero anche altri esempi interessanti, si pensi cosa si può cavare dalla storia dell’Einaudi del dopoguerra o della Feltrinelli d’opposizione) rinunciando agli intrighi familiari e alle derive da soap opera (anche se ci pensano le vite da fotoromanzo dei compositori ad assolvere al compito). Mauro Bolognini, altro grandissimo illustratore e non solo, ne ha diretto un remake negli anni novanta con il medesimo concetto del cast all stars.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta