Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film
AL CINEMA
Oh Vincenzo! Lei vive così fuori dal mondo! E io sto così bene qui da lei."
Tutto il mondo è paese, evidentemente. Comprendo che per raccontare la storia intima di un libraio risulti più suggestivo e credibile collocarla nel centro di Parigi, piuttosto che in una periferia romana, e comprendo pure che la scelta del cast Italo francese serva principalmente a scopo di lucro a garantirsi due platee al prezzo di una.
Ma e proprio la storia che non funziona, e sparisce dinanzi a scenografie suggestive che certo ricordano da vicino lo stile un po' teatrale dei film anni '80 del maestro Scola (da La Famiglia, a Splendor a Capitan Fracassa), da cui il soggetto di Margaret Mazzantini è tratto.
Una storia di un libraio onesto, solo assieme al dolore di un abbandono coniugale e di una disgrazia che ha compromesso la salute te fisica e psicologica della bella figlia che vive reclusa al piano soprastante la libreria sempre semi-deserti.
Poi un giorno arriva l'attricetta esuberante del teatro di quartiere, e la luce pare finalmente tornare ad illuminare la piazzetta del quartiere. Si è una favoletta quella che si sviluppa nell'ultima fatica registica di Sergio Castellitto, resa un po' fastidiosa e tediosa da personaggi che trovano difficoltà ad interagire uno con l'altro e a trovare persino una collocazione temporale che li renda, se non credibili, almeno plausibili: tutti imbarazzanti e fuori luogo, a partire dal protagonista libraio-Castellitto, uomo dimesso che non sa riscattarsi, la figlia muta per il trauma di una caduta che l'ha paralizzata (Matilda De Angelis mai così compiaciuta ed irritante); e poi il giovane medico e pugile che la ama (Alex Lutz-bambino con le rughe, qui imbarazzato e, per la prima volta, un po' imbarazzante); poi Bérénice Bejo che fa la fatina dei miracoli.
E poi i contorni, con Clementino simpatico ma come un pesce fuori d'acqua a Parigi, una Mamie rubata a Via col vento, e pure una Sandra Milo che la le smorfie, matta come sempre ma una copia sbiadita dei tempi di Federico. E poi tutta una serie di massime imbarazzanti sono ai brividi. Eccone un paio: "Ho sempre preferito essere un gran perdente che un mediocre vincitore".
"Sai rinunciare non è sempre una sconfitta"....reiterata più di una volta.... Mettiamoci pure dentro un doppiaggio a dir poco agghiacciante, ed ecco che trovare qualcosa che funzioni dentro questo "materiale emotivo" che pare ambire stilisticamente al "Totò l'eros" di Van Dormael (quello si, un gran film!), diventa davvero una impresa impossibile.
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