Regia di Nicolas Boukhrief vedi scheda film
La telecamera scivola con una panoramica dall'alto su di una foresta nebbiosa e sorda, il cui verde si spegne nell'aria umida dell'inverno delle Ardenne. Scende poi tra le vie di Beauval (Olloy-sur-Viroin nella realtà), un borgo di case con tetti in ardesia, la chiesa. Un poliziotto sta' annunciando al megafono la scomparsa di Remi: la comunità è incredula e spaventata, pronta ad aiutare nelle ricerche di quel bimbo biondo amato da tutti. Cosa succederà? Si chiede lo spettatore. Ma la domanda è sbagliata perchè l'ellisse temporale salta all'indietro e la pellicola riavvolge i giorni - quindi, cosa è successo? Manca poco Natale e la vita scorre in una quotidianità noiosa di provincia: alla fabbrica gli operai sono in agitazione: i profitti crollano e la proprietà parla di vendita o delocalizzazione. Le vacanze scolastiche sono già iniziate ed Antoine, 12 anni, gironzola per il paese in attesa di dichiararsi alla bella e bionda Emilie. Alle sue calcagna, il fidato piccolo vicino di casa Remi ed il suo cane. La mamma di Antoine, Blanche, è sempre al lavoro al negozio cosi' è il ragazzo ad occuparsi della spesa. Le lucette colorate sugli alberi annunciano per lui l'imminente arrivo del fantomatico Nintendo da scartare: i soldi non sono molti in famiglia, lo stipendio è solo uno perchè il padre se ne è andato anni fa, ma il ragazzo è uno studente talmente bravo e giudizioso che lo meriterebbe proprio, e la sua speranza è più che concreta. Una corsa al nascondiglio segreto nella foresta amica, le coccole al cane, il fiume che scorre ma la serenità e pacatezza del protagonista si frantumano in un mattina uggiosa in cui vede Emilie baciarsi con Theo. Il tenero sogno d'amore crolla, deluso ed arrabbiato Antoine scappa a casa. Solo un istante. Solo un gesto. Solo un errore di chi fino ad allora aveva sempre rispettato le regole con mansuetudine e si innesca una catena di eventi che lo sconvolgeranno per sempre.
"Tre giorni ed una vita": bel titolo. Semplice e pertinente. Alla trama di questo film ma anche all'estetica: Boukhrief racconta. Racconta una storia come potrebbe capitare a chiunque di noi. E non ci si chiederebbe mai "a che genere appartengano" i fatti nostri. La vita è molto più complessa di un genere e la sensazione qui è che non vi sia nessuna forzatura ma solo una aderenza alle cose: ne viene fuori un'opera che non è un thriller (e d'altronde, come potrebbe? Lo spettatore viene messo al corrente dell' "esito"/finale dopo pochi minuti di visione), non è quindi un giallo o un noir cupo e sfumato: non ci sono segreti piccanti o devastanti. O meglio, i segreti ci sono ma cascano addosso allo spettatore senza che lui ne avesse avuto consapevolezza dell'esistenza e della necessità . Non è un dramma psicologico: i personaggi sono spogli di ogni analisi, ed anche il pubblico non è invitato a dire la sua o ad immedesimarsi: non ci sono domande dirette ma solo due incidenti tragici ed una alluvione. Di sicuro non è una commedia ma un dramma, ok! Latitano le lacrime, però. Ed anche la volontà di schemi o dimostrazioni, come in fondo il confine tra colpevolezza ed innocenza, che qui si fa più che mai sottile. Forse sì, ci si aspetterebbe la catarsi ma, spoilerando, dirò che non c'è nessuna catarsi. Anzi. Solo, le mura di casa che chiudono tristezza e rimpiato. Ed una espiazione lenta e lacerante
Tratto da un bestseller "Au revoir là-haut" di Pierre Lemaître, "Trois jours et une vie" si è guadagnato un mezzo disastro al botteghino ed una critica d'Oltralpe tiepida ("Le Monde" per esempio). Meglio quella estera. In Italia credo sia stato distribuito soltanto in qualche sala di Cineforum, ed è un vero peccato perchè questo film ha il dono di avvincere, con un ritmo medio-lento, potremmo definirlo "all'europea" e non adrenalinico stelle e strisce a cui purtroppo noi tutti siamo abituati. Un prodotto che non ha del tutto convinto quindi, tacciato di poca energia, piattezza, interpretazioni "al minimo" anche se alla fine il peccato originale è proprio la l' ambiguità sopra descritta, che lo lascia a "metà strada" di tutto e può essere letta come indecisione. Se non confusione.
Io non la penso così, ovviamente, ed ho apprezzato innanzi tutto una sceneggiatura ben scritta che osa salti temporali e piccoli cambi di direzione ben riusciti. In questi casi, il rischio incartamento su sé stessi è sempre in agguato ma non è questo il caso. O meglio, dall'alluvione in poi c'è un traballamento, ma poi ritorna in pista, per un finale banale e assai poco consolatorio. La vita, ahimé, è tremendamente banale.
La regia mi ha convinto nella prima parte del film quando la telecamera stà più "addosso" al protagonista e ad esso dona le parole che mancano. Abbondano i primi piani ed il giovane attore li sa reggere senza pietismi o eccessi recitativi. I vuoti sono nel sottobosco notturno (non si sfugge alle suggestioni lynchiane di "Twin Peaks" ma quello oramai è storia della tv quando era sul serio libera e sperimentale come il cinema) ed in una comunità ammutolita squarciata dal grido di dolore del padre di Remì, un agitato Charles Berling. La messa in scena dell'alluvione è stata di sicuro la più complessa tecnicamente (nell'acqua, l'albero che entra dalla finestra, le scale etc ) e costosa, ha me però colpito emotivamente la sequenza dell'investimento del cane forse perchè l'animale assomiglia al mio amico Toby quindi mi sono quasi messa a piangere. O forse perchè è insolitamente secca e realistica, con la ripresa dal basso a livello dell'alfalto (come fosse l'occhio del poveretto) e poi dall'alto, il punto di vista umano, la breve agonia, il successivo ingresso degli altri attori, l'angoscia sul volto del protagonista, la fucilata. Nella seconda parte, Antoine adulto, Boukhrief gioca più sulla difensiva senza rischiare granché, allarga la distanza fra sé ed i suoi personaggi, forse per lasciare spazio al dispiegamento del gomitolo narrativo.
Gli attori sono tutti sotto tono, ed è vero. Ma l'uniformità (a parte di già citato Berling) conferma che questa sia una scelta. La si può non condividere, ma questa è.
Il sonoro è ambientale e la musica extradiegetica di Rob (Robin Coudert) descrittiva, mescola elettronico e sinfonico, non prevarica mai l'immagine e per questo abbozza melodie più che imporle.
Una nota finale: adoro il francese. Ma non riesco ad abituarmici nei film, soprattutto negli uomini. Ho preferito la versione doppiata, insomma.
https://www.youtube.com/watch?v=XBNG2NzvfCM
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