Regia di Sebastián Borensztein vedi scheda film
Quarto lungometraggio di Sebastián Borensztein è una critica al neoliberismo ma senza eccedere sul tema politico.
Criminali come noi è un pessimo titolo, di quelli che scoraggerebbero chiunque ad entrare in un cinema se fuori non ci fossero 35 gradi e uno non avesse visto tutto il vedibile nelle altre sale.
Ma sappiamo come va con il rimaneggiamento dei titoli in Italia e non ci facciamo intimidire.
E poi l’Argentina è un nostro paese gemello, e il film lo conferma.
La commedia dell’Italietta del dopoguerra, i soliti ignoti che cercano scappatoie alla miseria, le storie individuali tra il serio e il faceto, questo è il modello.
Certo Monicelli è ineguagliabile, Gassmann, la Cardinale e compagnia hanno segnato un’epoca, ma “ trattare con termini comici, divertenti, ironici, umoristici degli argomenti che sono invece drammatici “ (Maurizio Grande, La commedia all'italiana, Bulzoni, 2003 p.224) non è facile, si rischiano la melassa o l’idiozia pura.
Invece La odisea de los giles è un lavoro gradevole, ha la tensione giusta con un buon crescendo fino alla conclusione del colpo grosso, un mix di realismo e favola morale che non disturba, qualche spunto comico non guasta e, se non fosse la musica un po’ fracassona, diremmo perfetto per un giorno di canicola.
Gli attori, tutti bravi, a partire da Ricardo Darin, che passi tutto il tempo a decidere se è bello o brutto, ma bravo lo è di certo.
Il concetto-base da cui si parte è quello che riguarda l’essere “tonti”.
Il vocabolario argentino collima col nostro, los giles, cioè i creduloni, e le banche che ti fregano dopo averti fatto depositare tutti i tuoi sudati guadagni le abbiamo anche noi, mancava solo il film di collegamento.
Ed eccolo qui.
Forse quello che successe in Argentina agli inizi del millennio è più grave, forse ci sembra che noi siamo meno “tonti” perché ancora qualche scialuppa di salvataggio ha retto, ma niente paura, sono solo vent’anni di distanza e non è detto che… i segnali ci sono tutti.
Ma lasciamo da parte previsioni apocalittiche e godiamoci il film che, senza essere accusati di spacciare spoiler perché si capisce subito che il lieto fine ci sarà, diciamo solo che, per completare il lieto fine, bisogna aspettare i titoli di coda e non uscire a razzo fuori dalla sala.
C’è una sorpresina su cui tacerò anche sotto tortura.
Tornando al nocciolo del film, un suggerimento da Come rubare un milione di dollari e vivere felici, con Peter O’Toole e Audrey Hepburn, ci mette sulla buona strada. Anzi, mette la sgangherata compagnia sulla strada giusta per recuperare il malloppo.
Sì, perché di recupero si tratta. I nove amici non sono ladri, almeno non nel senso ufficiale del termine.
Devono recuperare il maltolto, quello che, raccolto a fatica da una colletta pubblica per finanziare un’impresa di stoccaggio agricolo che aiuterebbe la ripresa generale della zona (oggi la chiameremmo crowdfunding perché senza dirlo in inglese non si può) è stato sottratto proditoriamente da un giochino fra banca, alta finanza e bassa moralità.
Ecco il significato di “tonto”, spiega Darin/ Fermìn, il protagonista. Anzi, arrivare a togliere i soldi dalla cassetta di sicurezza e depositarli sul conto corrente dietro spinta del direttore, abile e mellifluo quanto basta, significa essere “coglioni” più che “tonti”.
Ma inutile fermarsi a dispute linguistiche, la tragedia è scoppiata e qualcuno ci rimette anche la pelle. E questo è il lato drammatico della storia.
Poi inizia la marcia lenta, pericolosa, faticosa ma inarrestabile, verso il riscatto.
Il lieto fine era necessario, guai altrimenti. Collabora anche il Paradiso mandando un bel temporale con le giuste scariche elettriche e in una notte di tregenda giustizia è fatta.
I nostri onesti cittadini, ladri per necessità perché costretti a rubare ciò che gli appartiene, hanno una sola mela marcia tra loro, ma chi l’avrebbe mai detto?
Chi? La madre, e, si sa, le madri non sbagliano mai.
Quarto lungometraggio di Sebastián Borensztein è una critica al neoliberismo ma senza eccedere sul tema politico. Quello c’è, la storia recente dell’Argentina, la sua crisi economica, la fuga di capitali, le proteste e gli scontri di piazza, la fuga del Presidente Rua dalla Casa Rosada sono storia vera e triste.
I nostri amici messi insieme da povertà e voglia di cambiare il mondo sono più favola che realtà, ma anche le favole servono, e il cinema a volte ci dice come fare.
www.paoladigiuseppe.it
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