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L'immortale

Regia di Marco D'Amore vedi scheda film

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La recensione su L'immortale

di robertoleoni
6 stelle

Dopo il grande successo del personaggio di Ciro in Gomorra, Marco D’Amore e la Cattleya hanno elaborato “…un ponte fra la quarta serie e la quinta futura serie, un film per portare gli spettatori televisivi al cinema e gli spettatori del cinema a vedere le serie televisive…”.

Lavoro nel cinema da molti anni e ho assistito al ripetersi nel cinema mondiale, ma soprattutto nel cinema italiano del fenomeno della clonazione o come è chiamato in gergo del “filone”.

Che cosa accade ogni volta che un film ha un certo successo e riscuote i consensi del pubblico?

Immediatamente nascono una serie di film che vorrebbero essere gemelli di questo film, ma che in realtà sono dei “bastardi” e se per caso uno di questi “bastardi” ha anche un suo piccolo successo particolare, nascono i “bastardi dei bastardi”, una serie di film in cui l'invenzione e l'originalità si perdono completamente.

Soprattutto quando il primo film, il capostipite, ha avuto successo proprio per originalità, per ritmo particolare, per l'invenzione o per una interpretazione suggestiva, più aumenta questo successo e più nascono una serie di epigoni, man mano sempre più piccoli, sempre più squallidi, sempre più ripetitivi.

Ho assistito a questi filoni sin dall’inizio della mia carriera: dai “musicarelli”, i film tratti dalle canzoni, poi i film “peplum” cioè i film mitologici copiati dai grandi film americani, anche se c’era un illustre precedente in Italia. Infatti, noi italiani nei primi anni del novecento avevamo fatto un film “colossal” molto importante: Cabiria di Giovanni Pastrone del 1914 che ha insegnato a tutti come si fa un colossal.

Ma subito dopo anche a causa della scarsezza di mezzi, abbiamo ripiegato negli anni 50 e 60 sui film peplum, prima copiati dai film “epico-biblici” americani e poi con un nostro filone ricco di sottogeneri addirittura mescolando gli eroi contemporanei a quelli antichi come Maciste contro Sansone o Ercole contro, adesso lo dico per scherzare, Mandrake… Subito dopo ci sono stati i western, i famosi western spaghetti con la grandezza di Sergio Leone seguiti da una serie dapprima di interessanti “copiature” e poi da titoli completamente assurdi come “C’è Sartana, venditi la pistola e comprati la bara!” Poi, arrivano i poliziotteschi, poi arrivano i film impegnati, quelli che io chiamo gli impegnati “ombelicali”, poi arrivano i film sulla mafia, poi “La piovra” e poi i film tratti da Gomorra.

Gomorra è un importante film diretto da Matteo Garrone di grande successo tratto dal romanzo di Roberto Saviano, origine della serie televisiva Gomorra che ha avuto un grande successo.

Da questo grande successo Marco D’Amore, insieme alla Cattleya, ha pensato di elaborare qualcosa di assolutamente nuovo, che lui definisce “un ponte fra la quarta serie e la quinta futura serie, un film che servirà a portare gli spettatori televisivi al cinema e gli spettatori del cinema a vedere le serie televisive”.

Quindi, un esperimento importante realizzato senza badare a spese con intelligenza e con un suggestivo fascino, che è quello di Gomorra.

Dispiace, però, che Marco D’Amore - un attore e anche un autore che abbiamo già apprezzato sia come regista, sia proprio come carattere nella serie televisiva, per come ha dato un impulso al suo personaggio di Ciro - questa volta cade nella trappola dell’autorialità.

Infatti, si fa del male da solo perché il personaggio di Ciro aveva una caratteristica molto importante: una sua straordinaria fissità che era il risultato della sua desolazione morale e anche della sua volontà assoluta e ferrea che gli dava questa determinazione e questo sguardo profondo, ma nello stesso tempo assente, come se non vedesse nessuno… Quindi, questa interpretazione originale e suggestiva era sicuramente una delle chiavi del suo successo, ma nel film ne abusa.

Addirittura ci sono momenti in cui è catatonico, cioè momenti in cui questa sua maschera diventa troppo rigida, come se davvero lo imprigionasse e lo costringesse a ripetersi in maniera tale per cui i suoi sentimenti non traspaiono più. Rimane solo questa immagine fissa che a lungo andare, in un film di un'ora e mezza, stanca.

Purtroppo accade molto spesso che l'attore - regista perda per un momento il controllo di se stesso, forse perché non c'è più la capacità di vedersi fino in fondo con critica e quasi con cattiveria e purtroppo questo nuoce al film.

Anche perché l'impianto del film, al di là della trovata scenografica di trasferirlo nel Nord Europa, quindi in alcuni paesaggi inediti e suggestivi, in realtà manca di forza perché in questo connubio di mafia, camorra, piovre e gomorra a un certo punto è come se si perdessero i confini e i contorni, si perde l'epicità dei personaggi.

Non a caso mi è venuto in mente un paragone con un altro film italiano che ha avuto molto successo, interpretato da Pierfrancesco Favino, Il traditore diretto da Marco Bellocchio, in cui si conserva l'epicità del personaggio e si riesce a dare una dimensione di forza che non è affidata soltanto all'attore, ma anche ad un contesto con una realtà concreta che dà il senso disperato della violenza.

Qui, invece, giustamente sono definiti “magliari” i banditi napoletani che sono nel Nord  Europa, perché hanno proprio un aspetto e un'aria da magliari…

Lo dico senza fare un torto al famoso film “I magliari” diretto da Francesco Rosi nel 1959 con la sceneggiatura dello stesso Rosi e di Suso Cecchi D'Amico.

Tra l’altro devo fare una lode particolare a Giuseppe Aiello che interpreta il piccolo Ciro da bambino e anche a Martina Attanasio che ha la freschezza di una disperata “stellina” di quartiere.

Entrambe queste figure, così come altre figure di contorno, sono realizzate con poesia, con attenzione e con forza e le ho apprezzate particolarmente visto che anche io vengo da un quartiere difficile che era Trastevere del dopoguerra.

 

Se vi interessa la videorecensione completa potete trovarla qui:

HTTP://BIT.LY/L_IMMORTALE

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