Regia di Woody Allen vedi scheda film
47° film di Allen: ormai si sa che ognuno potrebbe essere l’ultimo, e lo si guarda con uno spirito particolare. A suo tempo ho scritto che Midnight in Paris sarebbe stato un perfetto finale di carriera, e continuo a pensarlo; ma anche questo (che, guarda caso, termina nello stesso modo) ha un suo perché: un ritorno nel grembo materno newyorkese dove tutto è cominciato, con due giovincelli simpaticamente inespressivi che ai tempi di Manhattan non erano ancora nati e con un regista osannato che non crede più nel suo lavoro ed è tentato di smettere. La storia è quella raccontata tante altre volte (ci sono consonanze soprattutto con uno degli episodi di To Rome with love, che a sua volta rifaceva Lo sceicco bianco: lei concupita da un divo fascinoso, lui costretto a rimpiazzarla con una prostituta agli occhi dei familiari): una coppia progetta di passare insieme un week-end definito nei minimi particolari, poi tutto va storto, ma non importa; la vita spariglia le carte, però aiuta a vedere meglio dentro sé stessi e a riorientare il proprio futuro (specialmente se tua madre è in vena di clamorose rivelazioni). Svolgimento analogo a Un provinciale a New York, conclusione opposta a quella a cui arrivava Jack Lemmon: Allen ribadisce la sua incrollabile fedeltà a un immaginario urbano. C’è qualche snodo un po’ gratuito, in particolare il personaggio di Rebecca Hall mi sembra superfluo, ma i dialoghi sono sempre affilati al punto giusto. Aggiunge poco alla filmografia alleniana, ma Allen non deve dimostrare niente a nessuno e non ha nulla da aggiungere a una carriera straordinaria.
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