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Un giorno di pioggia a New York

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Un giorno di pioggia a New York

di alan smithee
7 stelle

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CINEMA OLTRECONFINE

Sono belli, ricchi, intelligenti, giovani e con tutte le prospettive a portata di mano per sfondare in una società che li vede sulla cresta dell'onda, in grado di appagare le più ambiziose pianificazioni future. Il loro tallone d'Achille è l'amore, che li rende vulnerabili laddove in ogni altro campo appaiono dominanti e competenti con la naturalezza che invece li disarma in termini sentimentali.

Gatsby e Ashleigh frequentano un esclusivo college per studenti di famiglie benestanti fuori dalle metropoli più note, e da qualche tempo costituiscono coppia fissa ed affiatata, esteticamente perfetta.

Tra i loro programmi imminenti, quello di trascorrere un week end a New York, ove la ragazza, che tiene le fila di un giornale d'istituto che la vede come firma più autorevole, ha ottenuto l'invito prestigioso ad intervistare un famoso regista in procinto di presentare al pubblico la sua ultima fatica creativa; Gatsby invece si accontenta di accompagnare la sua ragazza, riservando una splendida camera panoramica su Central Park, e approfittando della situazione per presentare ufficialmente alla potente genitrice, la sua bella fidanzata Ashleigh, in occasione di una annuale festa che la madre organizza per scopi filantropico-benevoli.

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Sotto un diluvio che paralizza la Grande Mela, ma nello stesso tempo la rende più seducente e romantica del solito, si dipanano le convulse vicende contrapposte dei due ragazzi che, appena separatisi, vengono coinvolti ognuno lungo percorsi diametralmente opposti, capaci di indurli rispettivamente a intraprendere avventure dense di sorprese, contrattempi, colpi di fulmine reciproci. 

Vicissitudini complesse ed esclusive che contribuiranno a mutare radicalmente la consapevolezza dei due ragazzi, in particolare di Gatsby, maturando in lui la deliberata volontà di intraprendere una decisione radicale ed inaspettata, che influirà sul destino di entrambi.

E' una splendida sensazione ritrovare in forma Woody, o anche solo ritrovarlo, dopo l'impasse odiosa ed inutile, oltre che fuori luogo (il film non ha in sé alcuna argomentazione imputabile a violenze ricattatorie e prevaricanti di uomini a danno di donne succubi o tratte in inganno da posizioni di potere... anzi qui le donne, se ed in quanto oggetto di tentata strumentalizzazione, agiscono e si difendono con piglio appropriato), che il vociare insensato in capo al movimento noto come "Me too" si è portato dietro, coinvolgendo nuovamente il regista entro un polverone turbinoso ed incongruo che ha bloccato non solo questa pellicola, lasciandola nel limbo oltre un anno, ma ha anche interrotto per oltre un biennio quella ormai continua, consueta, irrinunciabile produzione annuale che ci consegnava ogni anno un film del grande maestro newyorkese.

E ritrovare Allen con puntualità annuale faceva bene e dava sicurezza, anche quando - e succedeva ormai sempre più spesso, anche se nel complesso della sua costante e lunga filmografia in fondo di rado - la sua opera non appariva davvero eccelsa e in grado di raggiungere la qualità della sua elevata media generale dei bei tempi addietro.

L'ultima fatica alleniana, finalmente in procinto di apparire sui nostri grandi schermi, fa star bene già dai familiari titoli iniziali, dalla grafica sempre uguale e rassicurante (ove ci aspetteremmo di vedere anche stavolta i nomi dei consueti produttori di sempre, Jack Rollins e Charles H. Joffe, ahimè scomparsi da qualche anno), dalle musiche sempre diverse, ma in fondo sempre uguali e gioviali con cui il maestro sceglie di aprire le sue storie.

E poi i grandi nomi di cui si circonda: le magie di Vittorio Storaro per la fotografia, lo splendore scenografico della N.Y. sotto la pioggia, frutto delle intuizioni dello scenografo di fiducia Santo Loquasto.

La squadra di attori appare perfetta, con la coppia così bella e da manuale da essere destinata al naufragio preventivo formata da Timothée Chalamet e Elle Fanning, in testa a tutti, a cui fa seguito subito dopo quella pupattolona sexy di Selena Gomez.

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Certo Woody da tempo vive trincerato in un mondo tutto suo di fatto quasi irreale, ove la ricchezza ed il capriccio sentimentale che anima l'atteggiarsi dei protagonisti, trovano ancora il tempo di occupare un ruolo di primo piano rispetto a tutta la vicissitudine naturale di un corso degli eventi che stenta a restare credibile anche a livelli di agiatezza davvero fuori del comune. Un uomo anziano, il Woody dell'ultimo decennio, che vive ancorato in un mondo che non esiste più, o che non è mai esistito, dal quale egli non vuole più uscire, ipocondriaco come è per sua stessa ammissione. 

Poco importa che il cineasta si trinceri sempre e comunque dinanzi a questa alta borghesia sciocca e credulona, per non dire fastidiosa, disinteressandosi di tutta un'altra umanità ben più appetibile e degna di menzione, non solo dal punto di vista cinematografico. Eventualità questa che ce lo restituirebbe, molto probabilmente, con la medesima carica poetica ed ironica dei meravigliosi anni '80 de La rosa purpurea del Cairo, di Hannah e le sue sorelle, Radio Days o Settembre. 

"Un giorno di pioggia a New York" possiede comunque il gran merito di riportarci l'Allen che ci mancava, quello di cui avevamo bisogno da spettatori comunque affezionati e succubi della meravigliosa ricorrenza annuale a cui da oltre un trentennio ormai egli ci ha abituato e reso dipendenti.

  

 

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