Regia di Václav Marhoul vedi scheda film
The Painted Bird è pura pornografia dell’orrore, perché crede che si possa vomitare sulla platea tutto il male possibile senza stabilire una posizione morale.
Costringere gli occhi a vedere tutto è condannare alla cecità, e Saramago docet.
Per non parlare della Shoah di Lanzmann, come raccontare l’indicibile, come far vedere l’invedibile.
Perché questo incipit apocalittico?
Perché The Painted Bird è pura pornografia dell’orrore, perché crede che si possa vomitare sulla platea tutto il male possibile senza stabilire una posizione morale.
E torniamo sempre ai Greci, e pazienza se non li sopportano tutti, se li abbiamo fatti definiitivamente stramazzare al suolo, se dopo Filippo di Macedonia ci ha pensato la troika e Varoufakis s’è messo in congedo sine die a scriver libri e Costa Gavras a denunciare il malaffare inutilmente, come Demostene.
Ma questa è un’altra storia, torniamo ai Greci di un tempo lontano, quando il Teatro di Dioniso traboccava di uomini (e donne, eccezionalmente) dal mattino al tramonto per una settimana tre volte l’anno (più di Venezia, dunque).
Bene, sulla scena si parlava del meglio delle turpitudini umane: stupro, incesto, assassinio, pazzia, invasioni barbariche, automutilazioni, patricidi e matricidi, di tutto un po’.
Ma nulla che contaminasse la vista, quello che arrivava di fronte al pubblico erano le parole dei protagonisti, il lamento del Coro, e la catarsi era servita. Se l’occhio fosse stato contaminato dal sangue avrebbe posto seri limiti a tutti quei processi mentali che devono invece scattare a difesa e purificazione, la liturgia della morte e rinascita del Dio si attua attraverso simboli, non sgozzando agnelli in diretta sull’altare.
Oggi si ama invece sciorinare cataloghi dell’orrore, e passi nei film di genere, l’horror ha la sua dignità, i suoi grandi registi, i suoi spazi e i suoi tempi.
Ma se l’esibizione dell’orrore fine a sé stesso travalica la dignità del dolore, e se per undici anni il ceco Václav Marhoul non ha fatto altro che preparare questo film dopo averne letto il romanzo di quel mezzo genio di Jerzy Kosinski (sì, quello di Oltre il giardino, regia Hal Ashby con Peter Seller fenomenale ) allora non abbiamo speranza.
Qui c’è un ragazzino sopravvissuto ai lager nazisti che vaga in un mondo dove avrà pensato con nostalgia ai vecchi aguzzini.
Quello che gli capita è inenarrabile, sembra che il campionario della malvagità umana si sia accanito contro di lui, e in un bianco e nero levigato da una fotografia eccezionale, pellicola 35mm, fotografia di Vladimír Smutny , con interventi di spicco come quello di Harvey Keitel, Stellan Skarsgård e Udo Kier, in una confezione super sofisticata e accurata fin nei dettagli, Marhoul mette in scena una climax ascendente di atrocità che troverà pace solo nei titoli di coda e che tortura il malcapitato sulla poltrona in sala che deve tapparsi occhi (per non vedere) e orecchie (per non sentire).
Per non sentire le urla, i rantoli, gli squittii e gli strepiti, non degli uomini, anzi, quelli tacciono, mute maschere di crudeltà indiscussa, ma di animali vari (gatti, coniglio, caprone) o fatti accoppiare o bruciati o sgozzati sulla scena.
A parte il mistero sulla licenza concessa dalla Lega protezione animali, siamo indignati.
Questo è un film in concorso, e c’è chi in Giuria si fa venire gli svenimenti per la presenza di Polanski, stupratore (!?) d’antan!
Basta, consiglio agli utenti: girate alla larga.
www.paoladigiuseppe.it
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