Regia di Manuel Pradal vedi scheda film
Scorrendo dall’inizio alla fine le desolate pagine di un film documento sull’irrequietezza giovanile segregata a doppia mandata nella nuda gabbia del proprio selvatico e delirante immaginario, appare più che evidente l’esistenza di una tipica struttura circolare che trova la sua ragione d’essere in una sorta di apoteosi del nichilismo giovanile nella sua forma più acuta.
Il giovane cineasta Manuel Pradal si affida alla solare luminescenza di una fotografia d’immediato senso visivo che pur contrastando visibilmente con l’evidente asprezza dei gesti e degli sguardi, in un certo qual modo contribuisce a molcere l’irrequietezza della macchina da presa spesso manovrata a mano, che poco e nulla concede alla tranquillità dello spettatore. E negli immusoniti ed ombrosi primi piani dei protagonisti si sofferma a celebrare lo sterile culto di una bellezza acerba pronta a negarsi a sé stessa ed al mondo, colta nel vano tentativo di svelare insondabili misteri racchiusi nel profondo dell’anima.
Per un certo verso il regista non manca di raccogliere le insanabili contraddizioni di una generazione allo sbando totale, imperniando gran parte della storia sulla caratterizzazione psicologica dei personaggi e sulle loro dissonanze comportamentali, senza però curarsi più del dovuto di seguire un andamento che precede a sbalzi e strattoni con una costruzione delle scene segmentata, irta di insidiosi flashback e flashforward e con l’aggravante di una sceneggiatura tutt’altro che compatta. Azzardata appare inoltre la scelta di concedere ampio spazio agli sfoghi ed alle esuberanze giovanili senza tenersi a debita distanza di sicurezza dalla scottante materia trattata. Di conseguenza tale prolungata indagine del lato oscuro dell’animo umano appare a tratti del tutto gratuita a causa della compiacente crudezza di un plot che nell’analizzare attimo per attimo l’evoluzione dei podromi di violenza nell’individuo disadattato fino alla loro completa maturazione, dispiega le proprie direttive in maniera poco equilibrata, dando origine ad un andamento narrativo a tratti confuso ed irritante. L’esasperazione dei toni perdura oltre il dovuto alla ricerca di occulte motivazioni e di latenti istinti distruttivi posti in bilico tra sonno e risveglio ed appare inevitabilmente segnata da una tacita condiscendenza che non manca di avvolgere il tutto in un alone di sotterranea ambiguità.
Pradal non offre nessuna soluzione finalizzata alla risoluzione dei problemi, anzi inasprisce volutamente le irrimediabili contraddizioni ed i turbamenti di gruppi di giovani sovreccitati, non tralasciando di documentare alla rinfusa ogni sorta di bestialità, ogni istinto deviante pronto a trovare libero sfogo perfino in pestaggi e tentativi di stupri di massa, segnando con tratti indelebili la lenta progressione di un’infatuazione destinata a tramutarsi in tragedia e strizzando verso la fine perfino un occhio discreto a Kusturika. Ma il suo tentativo resta pur sempre irrisolto, ed improponibile il paragone con opere analoghe di tutt’altra fattura ed impegno morale come “l’eau froide” e “L’età acerba”, per non parlare di una “Schivata” di recente memoria. Qui la mediocrità impera, il gusto della forma non vale a giustificare l’irresolubilità del problema posto in essere, la provocazione fine a sé stessa s’infrange nel muro di un tacito silenzio.
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