Regia di Jean Rollin vedi scheda film
Un Rollin insolitamente poetico, romantico non meno che pessimista e tragico. L'orrore di perdere la memoria -quindi l'identità- è alla base di un dramma angosciante cui nemmeno l'amore puo', in alcun modo, attenuare le devastanti conseguenze.
Robert (Alain Duclos), mentre attraversa in macchina una zona isolata di Parigi, una notte s'imbatte in Elizabeth (Brigitte Lahaie), una ragazza in folle corsa sulla strada, fortemente turbata mentre chiede aiuto, forse in fuga da una clinica medica. Dopo averle dato un passaggio, Elizabeth manifesta uno strano comportamento: non ricorda nulla del passato, non sa da dove viene, dove abita e nemmeno ricorda il suo nome. Convinto si tratti di uno stato temporaneo di amnesia dovuto ad uno shock, Robert la ospita in casa. Attratto dall'affascinante bellezza di Elizabeth, finisce per fare all'amore. Il mattino seguente, quando Robert esce per andare al lavoro, il personale dell'istituto medico "Black Tower" penetra nell'appartamento per ricondurre Elizabeth in ospedale. Nel centro sono ospitati pazienti che stanno perdendo gradualmente la memoria, arrivando a scordare persino di compiere azioni basilari come mangiare o camminare. Elizabeth incontra di nuovo Veronique, con la quale aveva tentato di fuggire in precedenza ma è con Catherine (Cathy Stewart) -nuova compagna di camera- che pensa di fare ancora la stessa cosa: fuggire, lontano, senza sapere dove e perché. Tutti i numerosi pazienti, in cura dell'ambigo dottor Francis (Bernard Papineau), presentano questo tipo di insolita patologia che conduce, in breve tempo, alla morte cerebrale dovuta a un progressivo decadimento neuronale. La causa è da ricercare in un incidente, forse un sabotaggio, della centrale energetica. Pochi sono stati i secondi di fuga radioattiva, che ha colpito gli ignari e casuali passanti, ora ospiti della clinica.
"Anche l'uomo con la più scarsa memoria ricorda tutto quello che vorrebbe dimenticare.” (Mirko Badiale)
Davvero singolare che uno dei meno conosciuti film di Rollin, che leggenda vuole essere stato sceneggiato in una sola giornata, sia anche il più struggente, commovente e -insolitamente- ricco di spunti e contenuti. Niente vampiri, né risvolti lesbo (a meno che sotto tale definizione non voglia essere fraintesa un'intensa amicizia femminile); nessun fantasma o spettro; castelli sostituiti da strutture di cemento, grattacieli e, invece di parchi, grigi scenari metropolitani. Forse coinvolto emotivamente da tragedie personali, Rollin realizza in questo contesto un dramma inarrestabile, che sembra volere nascondere -sotto metafora- sia i tragici effetti della patologia degenerativa dell'Alzheimer sia -per meccanico sistema di occultamento, trasporto su rotaie, annientamento e cremazione- i campi di concentramento nazisti.
La mezz'ora che precede la fine, con schermo che sfuma sulla coppia priva di memoria, deambulante, mano nella mano, passando al nero più totale, è pesantemente nichilista, riuscendo ad evocare sentimenti di pietà e pena confluente -con buone probabilità in caso di spettatori sensibili- nel pianto.
Al montaggio del film figura il regista di porno (poi convertito all'horror) Gèrard Kikoine, già all'opera (nel 1977) con Brigitte Lahaie (e Alban Ceray) nel notevole hard Indécences 1930, da noi circolato come Memorie di una baronessa. Ora, considerato che lo stesso Rollin di lì a pochi anni sarebbe affondato nel mondo delle luci rosse, decisamente inattesa appare la sensibilità con cui The night of the hunted (inappropriato il titolo italiano) porta in scena temi sensibili (affetto, amore, abbandono, annullamento della personalità con la scomparsa della memoria). È puro Rollin per come il film è girato, per la presenza della stupenda (nuda ma malinconica e profondamente triste, nonché qui bravissima) Brigitte Lahaie, per un accompagnamento sonoro che ha tono sperimentale, per effetti speciali con sangue falso, per riprese con macchina a mano girate alla velocità della luce.
È Rollin, certo. Ma un Rollin diverso, un Rollin che sembra subire con malcelata tristezza il passare degli anni, che guarda alla vita non più con disincantato erotismo, ma piuttosto con tragico realismo: perché la memoria è tutto. Perché senza memoria siamo nessuno, non abbiamo più identità e non andiamo da nessuna parte. E questa semplice ma spesso "dimenticata" verità, vale per il singolo, così come per una società, o una intera nazione.
"Mio figlio. Avete visto mio figlio? Ditemi se sapete dov'è, se sapete qualcosa. Mi capite? So che ho un figlio. Ne sono certa. Posso anche sentire la sua voce. Ma quando sto per vedere la sua faccia... sparisce. Non so più nemmeno se è un ragazzo o una ragazza. Ci deve essere qualcuno qui che lo sa. C'è qualcuno qui che lo ha visto? Che lo conosce? Ditemelo... è la mia unica memoria. Nessuno? Non resta più niente della mia vita, di quello che ho fatto, di quello che ero. Non conosco più nessuno. Perché? Perché? ... Perché? " (Anonima paziente della clinica Black Tower)
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