Si potrebbe definirlo un film di denuncia, il regista punta il dito sullo spettatore, reo di nutrirsi di violenza e depravazione: senza sconti. Buona la tensione, bravi gli interpreti.
Non è certo il primo film sul tema: il terrore fa capolino nella sfera domestica, attraverso due (o più) delinquenti. Senza fare particolari sforzi di memoria, la mente va subito a Cane di paglia di Peckinpah, un dramma molto simile, con una tensione sempre palpabile e un grandioso Dustin Hoffman. Funny Games si differenzia per pochi dettagli, l'unico non indifferente: il giovane aguzzino si rivolge direttamente allo spettatore. Questo crea un valore aggiunto, è il voyeurismo del pubblico a dare un senso alla messa in scena, è il pubblico il vero aguzzino. Il concetto verrà ribadito quando Anna sparerà a Peter, uccidendolo, e il compagno cercherà il telecomando per riavvolgere la scena e modificarla: il pubblico vuole ancora sangue e dev'essere quello degli innocenti. Il finale, volutamente provocatorio, non concede alibi al pubblico.
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