Regia di Michael Haneke vedi scheda film
Il meccanismo di morte comincia immediatamente: dal comportamento dei vicini di casa di Georg e Anna, all'inizio del film, si intuisce che c'è qualcosa che non va, che non si tratta di semplice scortesia. Tutto, poi, si evolve in modo assurdo, quasi grottesco: Peter entra nella cucina dove Anna sta cucinando e chiede delle uova, le rompe e ne chiede altre, poi fa “accidentalmente” cadere in acqua l'unico telefono della casa, rompe anche le altre uova e ne chiede ancora. Dopo di che, le morti si susseguono, ed è intuibile, data la natura tetra e crudele dell'operazione, chi saranno in primi ad andarsene; la vicenda scorre abbastanza lineare, con i suoi momenti di suspance, tra dialoghi raffinati, scritti a tavolino, una violenza raccapricciante tenuta fuoricampo, e intuibile dalle grida orribili, e dalle scene successive ad esse. Haneke, calca la mano in modo molto pericoloso, sul senso di disorientamento dei personaggi, che in pochi minuti si ritrovano grondanti sangue, intrappolati in all'interno della propria casa, coscienti di non poterne uscire vivi, vedono morire il loro cane, il loro unico figlio, e vedono la loro unica speranza di fuga fallire clamorosamente per una piccola fatalità, e alla fine, l'unica cosa che resta da fare, è sperare che tutto finisca quanto prima. Tutto questo, fa sorgere una domanda spontanea: ma perché diavolo è stato realizzato un film del genere? Non c'è la minima giustificazione per una tale violenza, non abbiamo la minima idea di chi siano gli assassini, quindi non possiamo intuire ne la loro condizione psichica, ne quella sociale (nella scena in cui i prigionieri chiedono agli assassini chi siano si limitano a raccontargli un mucchio di balle), non ci sono neanche vagamente degli obbiettivi politici da andare a colpire (ed è quindi del tutto insensata la pseudo celebrazione ad Arancia meccanica, con i due psicopatici vestiti di bianco e con la parlantina aristocratica facile), ne tanto meno un meccanismo giallo da portare fino in fondo con un colpo di scena. I due assassini, quando gli viene chiesto perché lo stiano facendo, rispondono “Perché no?”, e non c'è bisogno d'altro, da qui si capisce che il significato dell'opera è che semplicemente non c'è un significato, la violenza è parte della vita, e la vita è parte della violenza, non c'è il benché minimo bisogno di giustificare le proprie azioni, perché non sono mai gratuite. Come teoria è certamente interessante, e neanche tanto scontata (semmai un po' furbina), e neppure troppo sbagliata in alcuni casi, però non c'è certo da farcene una legge, mi spiego meglio: ero molto più credibile ed “importante” la tesi secondo cui la violenza sia uno strumento attivo del potere (Arancia meccanica, La vera storia di Jack lo Squartatore, Salò o le 120 giornate di Sodoma, ecc.), piuttosto che questa, molto più filosofica e facilmente pessimistica. C'è da notare anche che, le scenette di meta cinema che rimandano alle sitcome, possono essere interpretate, o con una semplicità quasi retorica, o con una cripticità in alcuni casi irritante: si capisce subito che questa vicenda si terminerà con la macabra esecuzione di tutta l'allegra famigliola, e allora perché Haneke insiste più volte nel far ripetere a Paul, che noi vorremmo vederli vivere? È pura retorica, o c'è una ragione più corposa? Rimane il dubbio; ed ancora più emblematico è il riavvolgimento della pellicola che impedisce ad Anna di uccidere Peter, che sembra quasi voler ribadire che i due assassini devono vincere a tutti i costi, anche barando infrangendo le regole dello spazio e del tempo, ecco questa scena mi ha lasciato davvero dubbioso, e mi ha fatto avvertire davvero una certa puzza di bruciato. L'ultimo enorme difetto ingiustificabile che ho notato, è l'assurda dilatazione dei tempi: un'ora e quaranta per mostrare un'azione ed un contenuto che poteva rientrare in poco più di un'ora. In ogni caso, la regia prende allo stomaco, la tensione è presente, la violenza colpisce e gli attori sono bravi: il film, bene o male, funziona.
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