Regia di Philippa Lowthorpe vedi scheda film
Talenti in attesa di essere espressi (convogliati nel canale più consono alle loro specificità) & limitazioni frenanti (dettate dal singolo stato di fatto, che determina cosa sia considerabile come giusto e cosa debba essere inserito nella lista di ciò che è sbagliato).
Se nessuno ha la benché minima intenzione di ascoltare le tue rivendicazioni, allora devi cambiare strategia operativa, individuare il modo più azzeccato per farti notare e successivamente esperirlo con la massima convinzione. Usualmente, sono le azioni maggiormente eclatanti e chiassose a far breccia, ma talvolta il megafono per lanciare messaggi, farli giungere a destinazione e infine attecchire, sopraggiunge inaspettato, senza bisogno di spintonare e/o sbraitare.
Né Il concorso coabitano entrambe le anzidette condizioni e, più in generale, un nutrito quantitativo di fattori, tra direttive da pronunciare e promuovere, requisiti da convocare e tutelare, stili da riprendere e allineare, all’insegna di un cerimoniale assolutamente collaudato, molto comunicativo quantunque del tutto sprovvisto dell’effetto sorpresa.
Londra, 1970. Eric Morley (Rhys Ifans – Notting Hill, The Amazing Spider-man) è alle prese con l’organizzazione dell’annuale edizione di Miss Mondo, la cui conduzione sarà affidata al leggendario Bob Hope (Greg Kinnear – Qualcosa è cambiato, Flash of genius). Mentre Bob sta arrivando in città, accompagnato dalla stizzita consorte Dolores (Lesley Manville – Il filo nascosto, Another year), e le contendenti – tra chi è convinta di vincere e chi può ritenersi soddisfatta già solo per essere presente, come Jennifer Hosten (Gugu Mbatha-Raw – La ragazza del dipinto, Zona d’ombra) - sono in fibrillazione, tutta Londra è in festa, ad eccezione dei movimenti femministi, che intendono sfruttare l’occasione per far arrivare il loro messaggio a milioni di persone.
Su questo fronte, nonostante le evidenti discrepanze esistenti tra loro, la colta Sally Alexander (Keira Knightley – Espiazione, Pirati dei Caraibi – La maledizione della prima luna) e la ribelle Jo Robinson (Jessie Buckley – Sto pensando di finirla qui, Beast) stanno architettando un piano d’azione, dovendo anche fare i conti con se stesse, con la loro vita attuale e con quella che desiderano coltivare nel breve termine.
Al di là delle tematiche specifiche e dal suo essere ricavato da una storia vera, Il concorso rientra a pieno titolo in un modello espositivo che tanta fortuna ha portato negli anni al cinema britannico (ad esempio, Pride), contraddistinto da nobili intenzioni e una complessiva ricchezza di appoggi, da una forma rispettabile e una scrittura traspirante, pimpante nelle tonalità e di subitaneo assorbimento.
Segnatamente, il diario di bordo annovera più fronti, tra le attiviste e i punti di vista che le descrivono puntualmente, chi deve gestire uno spettacolo complesso e assai atteso, per finire alle partecipanti, con le loro origini e le rispettive aspettative, generando un ventaglio composito. Ognuna di queste sezioni offre il suo valido contributo per andare a disegnare quella che era una società degli uomini, con posizioni inviolabili e barriere erette nel tempo, consuetudini radicate in profondità e quindi dure a morire.
Dunque, il materiale è abbondante e messo in contatto attraverso dei provvidenziali vasi comunicanti, per quanto le equidistanze - di spazio dedicato e timbro utilizzato - non siano impeccabili, tra posizioni approfondite in ogni sfera e altre poco più che accennate, tanto più che alla fine quella che risulta probabilmente essere la più grande conquista narrata, rientra proprio in questa cerchia.
Questo discorso è tranquillamente allargabile e attribuibile anche al cast, ampio, attrezzato e, per quanto possibile (le iterazioni sono parzializzate), affiatato. In questo campo, spiccano le due versioni anticonformiste interpretate da Keira Knightley (esperta in materia, vedi Colette e Official secrets) e da un’intraprendente Jesse Buckley, in sempre più rapida ascesa (in attesa di Men), mentre Greg Kinnear, Rhys Ifans e Lesley Manville confermano le loro qualità pur rimanendo per la maggior parte dei casi in seconda fascia, così com’è un peccato che lo stesso valga per l’intensa Gugu Mbatha-Raw, il cui personaggio avrebbe indubbiamente meritato un maggiore peso specifico all’interno del film.
Insomma, Il concorso è tutt’altro che un film rivoluzionario, comunque sia in grado di lasciare il segno (il concetto trapela forte e chiaro) per come tratteggia le trasformazioni legate ai costumi sociali, partendo da rotte stabilite e aspirazioni taciute, disparità e perseveranza. Arrangiato su di un movimento box to box che lo rende particolarmente dinamico e versatile, è dotato di buona volontà, di un centro di gravità limpido, oltre che rimpolpato dall’immissione continuativa di vari affluenti, e sorretto dalla bravura degli interpreti, chi più chi meno abili nel coniare caratterizzazioni motivate ed estroverse.
Frizzante e diretto, confezionato in maniera fin troppo educata (corretta e riveduta).
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