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No Time to Die

Regia di Cary Fukunaga vedi scheda film

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La recensione su No Time to Die

di YellowBastard
7 stelle

Venticinquesimo film della saga di 007, iniziata al cinema nel 1962 (59 anni fa) con Licenza di Uccidere ma tratta da una serie di romanzi scritti da Ian Fleming a partire dal 1953 (68 anni fa) ed é l’ultimo dell’era Daniel Craig (nato 53 anni fa), iniziata con Casinò Royale nel 2006 (15 anni fa) e (inevitabilmente?) fa i conti con con il tempo che passa, con il passato e con la morte, con il ruolo di Bond nel mondo (obsoleto oppure no?) e con la sua eredità.

 

No Time to Die: recensione del film su 007 - Cinematographe.it

 

Annunciato nel 2017, era stato affidato da subito agli storici sceneggiatori Neal Purves & Robert Wade prima ancora di aver trovato un regista in sostituzione di Sam Mendes, autore delle ultime due pellicole.

Dopo il rifiuto quasi immediato di Christopher Nolan e di Denis Villeneuve, impegnatissimo nel progetto di Dune, e i contatti poi abbandonati con David McKenzie e Yann Demage, la produzione affida la regia a Danny Boyle che, con la collaborazione di John Hodge, inizia a lavorare a un nuovo copione, rigettando completamente il primo, ma per poi abbandonare sei mesi dopo a causa delle solite divergenze creative.

 

Al suo posto fu scelto Cary Fukugawa, primo regista statunitense chiamato a dirigere un film di 007, che scrisse da capo un nuova sceneggiatura insieme ai soliti Purvis & Wade, copione poi successivamente revisionato da Paul Haggis e da Scott Z. Burns e infine, su richiesta esplicita di Daniel Craig (anche produttore), passato anche per la penna di Phoebe Waller-Bridge, autrice della serie TV Fleabag, con il compito di ridefinire i personaggi femminili, specie la nuova 007 di Lashana Lynch e (soprattutto) la Paloma di Ana de Armas, spia bellissima e svampita ma con una mira da cecchino e i pugni di un fabbro (ed é un peccato che la sua storia probabilmente non avrà mai seguito), e di aggiungere qualche battute e un po' di umorismo a un plot ritenuto eccessivamente cupo, ma il cui apporto seppur evidente non é mai poi così incisivo e, alla fine, si ferma esclusivamente a questo.

 

Con il titolo di No Time to Die sarebbe dovuto uscire nell’aprile dell’anno scorso ma con l’arrivo della pandemia é stato uno dei primi titoli ad essere ripetutamente posticipato (ed é rimasto a rischio rinvio fino all’ultimo) per poi arrivare solo oggi al cinema con una responsabilità anche piuttosto elevata: chiudere il ciclo Craig, ovvero dal punto di vista commerciale il più redditizio dell’intero franchise.  

 

No Time to die" sta arrivando, ecco il trailer finale dell'atteso film di James  Bond

 

Iniziato nel 2006 con Casinò Royale, il nuovo ciclo di 007 con protagonista Daniel Craig si è presentato come un reboot in piena regola e in rottura con i cliché del passato, un cambio di rotta già tentato con Pierce Brosnan in GoldenEye (e, forse non a caso, entrambi diretti dallo stesso regista, Martin Campbell), ma qui portato a un nuovo livello, più moderno sia per il personaggio che per il contesto, più coerente e attuale, in cui si muove.

 

Ma quando si é 007 é molto difficile lasciarsi alle spalle una storia lunga 50 anni, soprattutto in un franchise che ha costruito molto del suo successo decennale su elementi ricorrenti ormai divenuti iconici e/o imprescindibile per il personaggio ed ecco quindi che con Skyfall, nel 50esimo anniversario della saga, ad un approccio che manteneva il suo realismo non disdegnava anche un ritorno ad atmosfere più classiche, dalle atmosfere alle battute al ritorno di personaggi classici (Q e Moneypenny, M torna a essere di genere maschile) e non più apparizioni fugaci ma veri e propri comprimari per una trilogia che racconta le origini di 007 e che, con la fine della terza pellicola, ne celebra il ritorno a uno status quo di stampo, diciamo, molto più classico.

 

Poi con Spectre anche il ritorno della famosa organizzazione terroristica e di Ernest Slavo Blofeld, ovviamente riadattati, a consolidare, pur conservando parte delle sue ultime innovazioni, la sua natura più classica e conosciuta.  

 

No Time To Die, ecco il trailer finale del film di James Bond - Magazine -  quotidiano.net

 

Evidenziato anche da una (piuttosto brutta) sequenza dei titoli di testa ad opera di Daniel Kleiman che omaggia quelli storici di Maurice Binder, accompagnata dalla (discreta) hit della giovanissima Billie Eilish e da una colonna sonora dell’onnipresente Hans Zimmer (mi viene ormai il sospetto che venga pagato al chilo), con la fotografia di Linus Sandgren (premiato con l’Oscar per La La Land) e con le scenografie di Mark Tildesley, a sua volta omaggi a quelle classiche di Ken Adam, No Time To Die rappresenta invece, nel bene e nel male, la summa di tutto ciò che é stata la saga di Daniel Craig e, segnando la fine di un’era, é permeato dal passare del tempo e da una fine ineluttabile..

Perché anche per Bond (e i suoi interpreti) il tempo scorre implacabile.

Non solo perché i suoi film sono spesso una corsa contro il tempo ma anche perché 007 spesso interpreta le epoche e i costumi, come l’ideologia e le paure, del periodo in cui vivono i suoi interpreti e, cambiando le epoche, anche 007 é costretto a cambiare, a reiventarsi (o a riciclarsi?).

E dopo Connery, Moore e Brosnan anche per Craig é ormai tempo di lasciare.

 

E in questo senso l’attesissimo No Time To Die é fin troppo preoccupato, tradendo in parte l‘attenzione verso altri aspetti della pellicola, di chiudere definitivamente il cerchio di quanto costruito a partire dal 2006 con Casinò Royale.

L’inizio però é col botto.

Il flashback quasi horror ambientato nel plumbeo inverno norvegese e il successivo passaggio nell’assolata e rocciosa Matera è in puro stile Craig/Bond, illudendo forse lo spettatore per poi adagiarsi invece in uno stile più classico, compresso un passaggio quasi camp a Cuba e che fa molto Era Moore, e che sembra quasi preoccuparsi di spuntare ogni casella di quanto il pubblico si aspetti da un film di 007: Jamaica, smoking, Martini (agitato, non mescolato), Bond Girls (rigorosamente indipendenti e autonome), Auston Martin (quella classicissima di Sean Connery), M e l’MI-6, MonneyPenny e i gadget di Q, Felix Leiter, un cattivissimo e moderno (fin troppo?) Dr. No, il solito giro per il mondo (Italia, Norvegia, Inghilterra, Giamaica, Cuba, un’isoletta contessa tra Russia e Giappone), la Spectra (che, come nel capitolo precedente, assomiglia più a una famiglia mafiosa con certi richiami alla massoneria che non a una vera organizzazione terroristica internazionale) invece di una trama in cui al centro di tutto, in maniera costante (e anche pedante), c’é il ruolo di Bond nel mondo di oggi, di quel che é stato e di che cosa lascerà come lascito per un contesto narrativo dove certi passaggi logici non vengono presi nemmeno in considerazione.

 

No Time to die" sta arrivando, ecco il trailer finale dell'atteso film di James  Bond

 

E comunque un film di puro genere Bond quasi fino alla fine, per poi cambiare di botto e l’ultimo atto, in parte ingiustificato da una sceneggiatura lacunosa e incostante, ne fa comunque un film che si regge unicamente sulla catarsi, emotiva e anche simbolica, che la conclusione della saga riesce a catalizzare nello spettatore e riuscendo, nonostante tutto, a non lasciare indifferente.

 

Eppure qualcosa manca in questa ultima avventura di Bond e se riesce a rendere onore al mito di 007 e a quanto é stato reinventato con successo durante l’epoca Craig, la fondamentale figura di Medelein (la perennemente imbronciata Leà Seydoux) e il cattivo Saffin rimangono comunque prive di una qualsiasi logica o ragione che ne giustifichino le azioni o i moventi.

Soprattutto il villain dal piano vago e confuso di un poco carismatico Rami Malek che ben poco può fare in quanto le ambizioni e le ragioni del suo personaggio rimangono costantemente fuori campo, forse perse in qualche sequenza tagliata o non girata per ragioni di spazio (o tempo), e con un montaggio finale che lasci al suo personaggio, incostante e perennemente ondivago, pochissima attenzione.

 

A chi poi verrà dopo (attore, regista e autori) rimane solo da farne gli auguri.

Perché per quanto sul piano concettuale sia una “reliquia della Guerra Fredda” (parola di M/Judi Dentch), l’eredità della creatura d Ian Flemming e il suo

 

   James Bond wuill return

 

che chiude anche questa pellicola mai come adesso risulta quasi una minaccia e/o un’eredità davvero ingombrante per chi seguirà, specie ora con il #MeToo e il #blacklivesmatter (per non parlare poi della Brexit) che aleggiano come avvoltoi su un franchise che, inevitabilmente, si scontra con il passare del tempo e un mondo che lo ha generato e ormai non esiste più, e che ora reclama un nuovo genere di eroe.

 

MARATONA 007: I 5 MIGLIORI BOND DI SEMPRE! - Ciak Magazine

 

E qui mi immagino il sorriso sardonico di Bond/Craig:

“Avete voluto cambiarlo e lo abbiamo fatto. Non vi basta? Volete ribaltarlo ancora di più? Lo volete nero? Donna? Metrosexual o fluido? Social, no global o reazionario?

Dopo di me?

Mò so’ caxxi vostri!!”

 

Voto: 7

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