Splendido epilogo dell'era Craig, la più rivoluzionaria ed impattante sull'immaginario collettivo dai tempi di Sean Connery
Rinviato, per esigenze pandemiche, dall'aprile 2020 al novembre 2020, quindi dal novembre 2020 all'aprile 2021, infine dall'aprile 2021 al settembre 2021, finalmente esce in sala il 25° capitolo della saga più longeva della storia del cinema che suggella, in maniera eccelsa, una delicata fase di rinnovamento del personaggio ideato dalla penna di Ian Fleming di cui, più volte negli anni, numerose Cassandre hanno profetizzato la morte, in particolare a cavallo tra XX e XXI secolo.
Ed è esattamente da qui che si deve partire per comprendere il senso di un'operazione che, negli ultimi 15 anni, ha fatto storcere il naso ai fan più integralisti. Dopo l'empatia mai creata col grande pubblico da Timothy Dalton (freddo, robotico e meno sbruffone, più vicino alla controparte letteraria), protagonista dei sottovalutissimi Zona pericolo (1987) e Vendetta privata (1989), l'era Pierce Brosnan, dopo l'ottima partenza di Goldeneye (1995), aveva sbandato in maniera fragorosa e catastrofica, sotto il colpo di gadget fantascientifici oltre ogni sospensione di incredulità, cadute di stile (la battuta da spogliatoio sul personaggio di Christmas Jones, interpretata da Denise Richards, nell'orrendo Il mondo non basta, 1999), ed inverosimiglianze di ogni tipo che avevano condotto la saga al vicolo cieco di La morte può attendere (2002) che molti hanno visto come rintocco funebre della campana dell'inesorabilità del tempo su una saga intrisa di 'valori' invecchiati malissimo e poggiata su un protagonista, spesso e volentieri, misogino e fautore di un tipo di virilità tossica ormai da condannare
Questo contesto di partenza non può non essere tenuto in considerazione nell'analisi del quinto ed ultimo film con Daniel Craig protagonista, primo capitolo della saga britannica per eccellenza ad essere diretto da un non-britannico, ovvero lo statunitense Cary Joji Fukunaga.
Il post-Brosnan ha avuto come stella cometa lo svecchiamento del personaggio Bond, aggiornato ai canoni estetici odierni (nessun 007 era mai stato così fisicamente imponente come Daniel Craig), nel tentativo (riuscitissimo) di coniugare, per antinomia, all'abnorme potenza fisica, una fragilità emotiva celata ma fatta deflagrare dagli eventi. Casino Royale, il sottovalutato Quantum of Solace e, soprattutto, Skyfall si sono rivelati in tal senso un capolavoro di scrittura per la certosina abilità di delineare, con originalità, la parabola narrativa dell'agente segreto più famoso al mondo, costellandolo di una virilità da macho per la prima volta controproducente che finisce per metterne a nudo debolezze, complessi edipici irrisolti e, soprattutto, una sanissima umanità.
Ecco, i capitoli della pentalogia Craig vengono pervasi, in maniera programmatica, dall'humanitas, caratteristica spesso corollaria nel quasi mezzo secolo di adattamenti cinematografici precedenti a Casino Royale.
In No Time To Die, questa caratteristica nodale viene elevata all'ennesima potenza e declinata in ogni modo: amicizia, amore, affetto filiale, rispetto professionale, sacrificio patriottico. Se queste caratteristiche, dal 1962 al 2006, emergevano saltuariamente in maniera episodica all'interno di una personalità cinica, fredda, spietata, misogina ed estremamente ambiziosa, adesso, viceversa, rappresentano la base portante del personaggio in cui solo saltuariamente, come residui di vecchi riflessi pavloviani, vengono fuori le precedenti velleità 'paleolitiche', ammantate da una deliziosa/odiosa ironia puramente british.
Le scene action sono girate con sapienza e non mancano numerose e brillanti (ma mai didascaliche) citazioni agli altri 24 film della saga che tutti i fan di vecchia data apprezzeranno enormemente.
Le location sono mozzafiato e messe in mostra con eleganza senza dare mai la tremenda impressione da spot pubblicitario
La recitazione è di altissimo livello: Craig si conferma ma a stupire è la recitazione oscura e tutta in sottrazione di Rami Malek, attore che costringe chi scrive a dover rivedere i propri giudizi negativi delle sue precedenti interpretazioni. Ana de Armas regala 20-25 minuti assolutamente indimenticabili mentre Ralph Fiennes e Léa Seydoux riescono perfettamente ad infondere ai loro personaggi struggimento, dubbi e paure. Christoph Waltz, pur avendo una rilevanza ed un conseguente minutaggio inferiore a Spectre, riesce a lasciare il segno in modo molto più incisivo rispetto alla fatica mendesiana.
Il finale, destinato a far discutere, è geniale: Bond, James Bond - nel mondo del 2021 - non può più esistere per come sia stato sempre concepito. Se i cambiamenti fossero ancora più radicali di quanto non sia già stato fatto negli ultimi 15 anni, non sarebbe più lui. E allora è giusto e sacrosanto che si tolga dalla realtà storica e si consegni alla leggenda, da tramandare di generazione in generazione, in modo che chi venga dopo di lui sappia sempre a chi ispirarsi
Iniziando, chissà, da lei.........
la bravissima Lashana Lynch
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