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L'ultimo yakuza

Regia di Takashi Miike vedi scheda film

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La recensione su L'ultimo yakuza

di mck
8 stelle

FI(r)ST LOVE. Forse non è il più grande amore, e magari non sarà l'ultimo, ma di certo è stato il primo (o il secondo...).

 

 

Takashi Miike, giunto alla soglia dei sessant’anni e alla centoepassesima opera [tra lungometraggi per il grande e il piccolo schermo, serie tv (dorama e non), episodi e segmenti di antologie cinematografiche e televisive e altri lavori multimediali, dopo la bulimia a cavallo tra anni ‘90 ed anni ‘00, da una decennio s’è attestato s’una media di due virgola qualcosa lavori l’anno), con “Hatsukoi” (Primo Amore), su soggetto del co-produttore (con Jeremy Thomas & C.) Muneyuki Kii e sceneggiatura di Masaru Nakamura (“Big Bang Love, Juvenile A” e “Sukiyaki Western Django”), uscendo da un periodo che comprende lavori (quali “Over Your Dead Body”, “As the Gods Will”, “the Lion Standing in the Wind”, “Yakuza Apocalypse”, “Terra ForMars”, “Blade of the Immortal”, “Laplace’s Witch”) come sempre eterogenei tra loro (in carriera i generi li ha affrontati quasi tutti: horror, fantasy, fantascienza, musical, storico, erotico, avventura, western, poliziesco, crime, thriller, noir, gangster, azione, sperimentale, grottesco, comico, commedia, dramma; credo gli manchi il documentario, ma non mi stupirei di poter essere smentito), dirige un violento, caricaturale [il piano del “povero” mafiosetto di fascia medio-bassa Kase (Shota Sometani, “Himizu”) e del suo complice assoldato controvoglia, il poliziotto Otomo (Nao Omori, “Ichi the Killer”) che via via collassa in una spirale di contrattempi coeniani pur non essendo, dai!, poi così malaccio!], inverosimile (i corpo a corpo con armi da fuoco, all’arma bianca o a mani nude sono architettati, coreografati, costruiti e messi in scena benissimo, fatto salvo qualche piccolo inceppamento che, ovviamente, non intacca la continuità della sospensione dell’incredulità), divertente (e le “fantasmatiche” apparizioni del padre della giovane Monika, da esso venduta alla mafia per ripagare i propri debiti con essa contratti, non rientrano in questa categoria, ma in tutt’altra, quale piuttosto il…

 

 

...perturbante con radici di brutale aggressione sessuale, se pur ballerino e danzereccio) e fortemente tanto moralista quanto a-morale (alcuni esponenti delle criminalità organizzate giapponesi e cinesi perseguenti una loro versione dell’etica comune condivisa e consolidata) melò (attenuato dal PdV dell’enfatica carica sdolcinata e patetica e rafforzato - in parte - da quello del lirismo verista) splatter-banditesco con inserti animati (sopperenti le balistico-gravitazionali impossibilità produttive legate alla realizzazione del climax di una scena di salto dello squalo appartenente ad una sequenza pre-terminale) con incipit e finale [in cui, tra Giappone, Corea del Sud, Cina/HongKong e il sub-continente derivato ed errante Quentin Tarantino (tutti più o meno coetanei di Miike, a parte il maestro Beat Takeshi), da Park Chan-wook, Johnnie To, Andrew Lau/Alan Mak e il Kitano-Yakuza, attraverso Sion Sono, Kiyoshi Kurosawa e Kim Ki-duk, si giunge al Kitano intimista e ad Hirokazu Kore’eda, e nel quale la MdP, dopo averli incrociati al criscrossing del passaggio a livello, rimane lontana nel continuare ancora per un poco, più tardi, a riprenderli con focale media, non avendo più alcuna ragione di disturbare le vite dei protagonisti] iperrealisti, un (resto del) cast di facce e corpi caratterizzanti [i 2 co-protagonisti, Leo/Reo (Masataka Kubota) e Monika (Sakurako Konishi), e poi Rebecca “Becky” Eri Ray Vaughan “Rabone” (bravissima, ingobbita para-zombiesca piede di porco munita), Seiyo Uchino, Jun Murakami, Sansei Shiomi, Cheng-Kuo Yen, Bengal, etc…] e la complicità delle ottime musiche del sodale collaboratore Kôji Endô.

 

 

Forse non è il più grande amore, e magari non sarà l'ultimo, ma di certo è stato il primo (o il secondo...).  

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