Regia di Lee Man-hui vedi scheda film
FEFF 21 – UDINE: RETROSPETTIVA “I CHOOSE EVIL”
"Non ho scelto il male... È il male che ha scelto me. La mia morte non merita pietà."
Negli anni '60 un boss rispettato tiene le fila del commercio illecito e viene rispettato nonostante qualche affare si riveli poco profittevole. Quando tuttavia la bella moglie del boss viene avvicinata e violentata da un drogato rancoroso e vendicativo a causa di un torto subito, il capo è costretto, anche per tener fede a precise regole che governano i codici comportamentali nel gruppo, a ripudiare la consorte e pure a punirla per un torto subito di cui in effetti nessuna colpa ricade si di lei, vittima degli eventi. Pertanto la donna, sfregiata in volto e allontanata, costretta per vivere a prostituirsi, trascorre un lungo periodo distante dal centro di affari del marito, e conosce un mite tassista che se ne innamora e le paga una operazione di chirurgia estetica.
Nuovamente ricattata dallo stupratore, la donna ha occasione di incontrare nuovamente il marito che, in realtà, non ha mai smesso di amarla e che appare sinceramente devastato per quella sua spregevole ed ingiusta azione dimostrativa nei confronti della ex consorte.
In un drammatico confronto, l'uomo saprà riscattarsi da quella bieca azione e farà in modo che la ex moglie possa ricostruirsi una esistenza onesta e libera col suo nuovo onesto uomo.
Black hair. Ovvero i capelli corvini della bella moglie, da lei utilizzati per celare il terribile sfregio fattole fare per punizione dal crudele marito, è un noir meraviglioso ed avvincente, melodrammatico e romantico che si fa forte di due personaggi meravigliosamente dettagliati, il boss e la moglie, perfettamente in simbiosi, nonostante lo scherzo beffardo della vita riservi loro una esistenza travagliata e devastata da eventi che appaiono completamente fuori controllo.
Ne emergono le figure romantiche e fiere del boss, uomo di malaffare ma leale e di saldi principi d'onore, e la sua onesta e mite consorte: entrambi costretti ad accettare un destino doloroso ed avverso che li sacrifica entrambi nell'espressione più naturale del reciproco amore, inviso ed osteggiato dagli eventi.
Quattro anni prima del capolavoro sulla incomunicabilità “A day off”, il gran regista coreano Lee Man-hee firma uno dei suoi migliori noir, sorretto da una sceneggiatura limpida e romantica che scivola sicura e ben salda verso un regolamento di conti ove il bene, o meglio la giustizia, finiscono per trionfare dopo inenarrabili traversie e avversità del destino.
Splendida, in particolare, nella sua contraddizione di fondo, la figura del boss, uomo duro, spietato, malvagio nel rispetto del suo ruolo in qualche modo ufficiale e istituzionale che non ammette punti di indecisione e deroghe. Ma anche una figura che agisce sulla base di principi che, in senso assoluto, osservno regole d'onore ben precise e che lo rendono psicologicamente più vulnerabile – e di conseguenza anche terribilmente più umano – di quanto il proprio ruolo istituzionale e di rappresentanza potrebbe in effetti consentire: lo interpreta con un'aurea alla Bogart (ed in fisico tarchiato alla Robert Blake - ovvero il mitico Baretta), l'ottimo attore Jang Dong-hui, mentre, nella parte della dolce e remissiva consorte, in grado pure lei di sfoderare inaspettate doti di coraggio e temerarietà per nulla preventivabili, apprezziamo la splendida prova d'attrice di una star femminile assai nota nei '60 in Sud Corea: Moon Jeong-sook: bellissima e tenerissima.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta