Regia di Kim Ki-young vedi scheda film
FEFF 21 – UDINE: RETROSPETTIVA “I CHOOSE EVIL”
Il viaggio in treno di una donna trentacinquenne bella ed affascinante, ma profondamente addolorata e disillusa dalle drammatiche pieghe che le sue vicissitudini tormentate hanno arrecato al proprio bilancio esistenziale, consente alla stessa, ma soprattutto a noi spettatori ignari, di farci un'idea di ciò che l'ha spinta a questa sua disperazione inconsolabile.
Un lungo flash-back che procede per oltre ¾ di pellicola, ci spiegherà le complesse e drammatiche dinamiche della sfortunata vita della donna, divenuta anche assassina per amore, e per i troppi tradimenti ed affronti che gli uomini le hanno arrecato, tradendola ed ingannandola.
In particolare assistiamo al viaggio che la donna, detenuta per omicidio, ottiene per poter andare a deporre un fire nella tomba della madre, morta durante la sua prigionia. Scortata da una apparentemente inflessibile guardia-donna, la prigioniera avrà modo di poter cambiare, almeno parzialmente, la pessima opinione che fino a quel momento poteva nutrire nei confronti del sesso maschile, grazie ad un fortuito incontro con un ragazzo molto più giovane di lei, ma dotato di una sensibilità che, fino a quel momento, era stata una prerogativa sconosciuta e mai riscontrata.
Da uno dei registi più estrosi ed anticonformisti del '900 coreano, l'eccentrico Kim Ki-young, Promise of the flesh è un remake melodrammatico e grondante di colore e sentimentalismo, di musiche assordanti che richiamano sfrontatamente una melodrammaticità senza contegno, ma proprio per questo potente, del film andato perduto Late Autums del 1966 di Lee Man-hee.
Sentimentalismo esagerato, ma di gran carattere, scene madri fragorose, ove l'impulso guida i comportamenti e le reazioni dei protagonisti, apparendo incontenibile, divengono insieme la centralità e la forza di un film che ha la risolutezza sfrenata di non lasciarsi condizionare da timori o da riserve per raccontare il suo controverso processo evolutivo di una vita tormentata e solo alla fine, quando forse ormai è troppo tardi per recuperare, alleviata da un tenue barlume di speranza.
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