Regia di Man-hui Lee vedi scheda film
FEFF 21 - UDINE : RETROSPETTIVA "I CHOOSE EVIL" Nella Corea del Sud anni '60, quella della ricostruzione e dei cantieri, quella della ripresa economica in corso, seguiamo la domenica di un disoccupato senza arte né parte, impegnato più che altro, nei giorni lavorativi, ad organizzare piccole truffe, e solito invece trascorrere il giorno della festa con la propria fidanzata, povera e disagiata pure lei. Ora però i due hanno un problema incipiente da risolvere: la ragazza si trova suo malgrado in stato interessante e, disoccupati entrambi, pur intenzionati a sposarsi in un prossimo futuro, i due sono unanimemente dell'idea di procedere ad una interruzione di quella gravidanza inopportuna. Ma servono i soldi, e il giovanotto, lasciata la fidanzata presso un parco spoglio e battuto da vento e polvere, inizia a girare la città alla ricerca di amici e conoscenti che possano aiutarlo finanziariamente.
Ricerca vana, umiliazioni in arrivo e l'uomo dovrà ricorrere, per recuperare la somma necessaria, all'ennesimo furto; ma il destino avverso è comunque in agguato in altre forme, e per l'uomo non resterà che consolarsi come solo i vinti sanno fare: rifugiandosi nell'alcol assieme ad un'altra donna, non meno disillusa e sfiduciata di lui. Ecco che il giorno della domenica diviene, nel film capolavoro di LEE Man-hee andato perduto dopo esser stato messo al bando per decenni a causa della sconvenienza e scabrosità delle tematiche trattate (l'aborto su tutte), il giorno più scomodo ed imbarazzante della settimana: quello comunemente dedicato al meritato riposo e alla famiglia si tramuta, dalla parte dei vinti e degli irrisolti, come nel giorno che ufficializza la propria ineluttabile sconfitta, la propria solitudine, il proprio imperturbabile fallimento.
Ci sono tematiche e sfondi che ricordano da vicino il cinema meraviglioso ed il pessimismo cosmico di Antonioni, in questo meraviglioso A DAY OFF: il fallimento e l'impossibilità, o proprio l'incapacità, di esprimere e comunicare, condividere il proprio disagio esistenziale. Ma restando legati allo strato sociale più basso e non piuttosto alla borghesia ormai annoiata e disillusa del celebre cineasta di Ferrara. Tematiche forti, scomode, inattuali in una civiltà come quella coreana di fi e '60, troppo impegnata nella ricostruzione materiale e morale, per farsi prendere da queste sfumature, per molti versi rimaste inascoltate proprio perché scomode e poco attuali e coerenti con lo spirito concreto ed operativo di una società troppo materialmente impegnata a ricostruirsi da dentro. Musica struggente, scenografie gioiello che prevedono sfondi di cantieri e paesaggi devastati dalla ricostruzione in atto. Un gioiello prezioso e raro di una retrospettiva che si sta rivelando la vera chicca del festival di Udine numero 21.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta