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The Body Confession

Regia di Jo Keung-ha vedi scheda film

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La recensione su The Body Confession

di supadany
8 stelle

Far East Film Festival 21 - Udine. Retrospettiva cinema sudcoreano "I choose evil".
La massima aspirazione di una madre consiste nel vedere sistemate le figlie. Dalle sue esperienze pregresse, scaturisce il benchmark operativo cui attenersi per individuare l'uomo giusto che, nel caso di un'esistenza colma di avversità, verte essenzialmente sulla solidità della posizione sociale, strettamente correlata a quella economica.
Raramente tutti i desideri si trasformano in realtà, mentre gli obiettivi di genitori e figli sono influenzati da forme mentis in buona sostanza divergenti.
Corea, anni '60. Tre sorelle studiano a Seoul grazie al supporto economico di loro madre, una vedova di guerra che ha saputo superare infinite difficoltà uscendo dagli angusti confini della legalità.
Così, mentre le figlie credono gestisca un rinomato negozio di vestiario, la donna, soprannominata Presidente, gestisce un bordello e all'occorrenza non disdegna nemmeno muoversi nel campo del contrabbando.
Il loro affettuoso legame verrà irrimediabilmente compromesso quando le ragazze sceglieranno strade che loro madre non accetta nemmeno di prendere in considerazione, mentre l'acciaccata signora dovrà anche fare i conti con i risvolti negativi delle sue azioni.

scena

The Body Confession (1964): scena

The body confession è un immacolato distillato di cinema, disposto al servizio della descrizione di un conflittuale rapporto generazionale e posizionato alle calcagna di persone comuni che scelgono il male per superare le traversie del fato, aspetti congrui per tratteggiare puntualmente uno spaccato della società coreana del periodo, oggetto di una rivoluzione radicale, nei costumi e negli equilibri sociali (vedasi anche il richiamo esplicito alle violente proteste di piazza).
Per stile e contenuti, il regista Jo Keung-ha adocchia prima di tutto l'influenza statunitense, con una bad girl costretta al ruolo da una condizione svantaggiata di partenza, e che pare sbucare dai noir americani degli anni quaranta, e un ingorgo di sventure da melodramma, ampiamente sufficiente per spezzare il cuore. In più, una porzione consistente segue la falsariga del neorealismo rosa, con le vicissitudini delle tre giovani donne e gli uomini che gravitano attorno a loro, tra l'università, giornate trascorse in spiaggia, partite di baseball e scorribande con automobili decapottabili, seguendo un'impronta perlopiù sbarazzina, senza omettere le false promesse, i sogni infranti ma anche le sorprese imponderabili che rivoluzionano una vita intera.
Un prontuario assortito, contraddistinto da continui cambi di registro attuati con un'invidiabile immediatezza, umori che prendono direzioni dicotomiche, evitando così ogni forma di studiato manicheismo, con un uso limpido del bianco e nero, tutte caratteristiche che contribuiscono a imprimere nel marmo le figure tragiche, depositarie di una struggente parte terminale di stampo deterministico, in parte mitigata dalla felicità, comunque macchiata, di chi invece la sua oasi l'ha conquistata, senza svendere la sua anima al diavolo e ai vizi.
Così, The body confession chiude il cerchio dimostrando di possedere un linguaggio aperto, nel segno di una lezione morale che non giudica spudoratamente, conscio di come la vita divida i suoi protagonisti in vincitori e vinti, di come qualcuno debba sacrificarsi - con infinito amore e altruismo - sull'altare del bene altrui.
Audace, di matrice polivalente.

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