Regia di Gu Xiaogang vedi scheda film
Può essere utile conoscere le vicissitudini della distribuzione di questo film del giovane regista cinese Gu Xiaogang, che, tornato nel 2017 a Hangzhou, luogo della sua nascita, aveva terminato di girarlo nel 2019, stesso anno in cui a Cannes fu presentato a conclusione della Sémaine de la critique.
Nel gennaio del 2020 il film era nelle sale francesi, accolto con favore dalla critica e dal pubblico.
In italia non si sarebbe visto, invece, senza il tenace impegno dello staff di Movies Inspired, che scommettendo sulla qualità, ha dedicato energie e lavoro per portarlo, finalmente, anche nel nostro paese, all’attenzione degli appassionati.
Il film era stato concepito come una trilogia, ma Gu Xiaogang, fra mille difficoltà e sospetti politici, aveva girato solo questa parte, né sappiamo se altro potremo vedere in seguito. Dobbiamo, perciò, ritenere l’opera, almeno per ora, conclusa.
Al centro del film è la regione di Fuyang, costituita da antichi borghi e templi sparsi sulle boscose colline oltre le sponde del grande fiume che – scorrendo lentamente lungo le coste piene di anse, – da sempre aveva addolcito il clima di quei luoghi, offrendo al tempo stesso cibo e protezione alle generazioni che si erano avvicendate: erano i pescatori, i navigatori e i mercanti che avevano accettato sacrifici e rischi dei loro difficili mestieri e – secondo gli insegnamenti del Budda – avevano posto nella compassione gentile e solidale le fondamenta della convivenza.
Le cose, però, stavano rapidamente cambiando, tanto che, quando Gu Xiaogang era tornato nella città natale, dopo gli studi di cinematografia a Pechino, aveva trovato la sua città attraversata da una crisi profondissima che stava distruggendo – insieme al complesso delle abitazioni fra le quali era cresciuto, demolite rapidamente per far posto a nuovi e lussuosi condomini – la stessa mentalità degli abitanti, dominata ora dall’individualismo, dall’aspirazione all’arricchimento, dal disprezzo dei più poveri, dei malati, dei vecchi.
Quell’isola buddista, nel gran mare confuciano della Cina, perdeva dunque il proprio carattere singolare e diventava, come il resto di quell'immenso paese (il grande cinema di Jia Zhang-ke ce lo aveva fatto conoscere, con il tono della denuncia dolorosa) un luogo di spietate ingiustizie, che anche questo film ben descrive.
Qui è l’emblematica storia di una famiglia numerosa, riunita per festeggiare i 70 anni della nonna, che improvvisamente è colta da malore, a rivelare la fragilità dietro l’apparenza della buona salute, la viltà degli irresponsabili, le scorciatoie del giocatori d’azzardo che ricorrono al delitto per guadagnare in fretta….
Implicitamente, pertanto, il film è anche una denuncia dell’intollerabile condizione delle vittime della nuova febbre dell’oro che ha colpito i Cinesi; ma è la poesia il tono connotativo della storia: la bellezza è gelosamente custodita da chi non può o non vuole stare al passo con i tempi, è quella che possiamo vedere anche noi spettatori mentre si srotolano sullo schermo le antiche carte che illustrano antiche storie di saggezza; è quella degli uomini e delle donne che, per scelta, oggi, testimoniano la tenace volontà di resistere, per amare, per conoscere, per accogliere i diversi.
Un gran bel film, malinconico, realizzato con pochi mezzi, recitato benissimo dagli attori popolari non professionisti: sono infatti gli abitanti del Fuyang, gli interpreti, che il regista segue riprendendoli nel loro ambiente e facendo un larghissimo e poetico uso dei piani-sequenza e della camera a mano, ciò che rende memorabili alcune scene: la nuotata seguendo il tortuoso percorso delle rive del fiume, il piccolo suonatore di musica rock, che ha imparato, a modo suo, a vincere la malattia congenita che lo separava dagli altri...
Un peccato non vederlo.
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