Regia di Nicolas Bedos vedi scheda film
Festa del Cinema di Roma 2019 – Tutti ne parlano.
La nostalgia riversata sul passato, più o meno prossimo che sia, per quello che è stato e oggi non è più a disposizione, è tra gli stati dell’anima che il cinema ha maggiormente cavalcato e catechizzato negli ultimi anni.
Insomma, mentre in archi temporali relativamente circoscritti assistiamo a rivoluzioni tecnologiche e di costume che rimodulano prepotentemente le abitudini quotidiane, c’è chi si guarda alle spalle rimpiangendo i suoi anni d’oro. Quelli in cui le conquiste sopravanzavano di gran lunghe le sconfitte, quando dopo una caduta arrivava comunque l’occasione per rialzare la testa e le persone non si sottraevano al confronto dello sguardo, possedendo una predisposizione naturale ad affrontare il prossimo con la premessa di un sorriso.
Con uno stratagemma da Grande Fratello commissionato su misura per soddisfare il singolo cliente, Nicolas Bedos decodifica l’amore, muovendosi con scaltrezza, loquacità ed eleganza tra le maglie del sentimento per eccellenza. E non si accontenta nemmeno di trionfare su un campo da gioco, spingendosi in lande sempre più remote, sedi di considerazioni teoriche, capovolgimenti di fronte e dissertazioni modificabili con un semplice trucco.
Al contrario della sua ex moglie Marianne (Fanny Ardant), Victor (Daniel Auteuil) non ha per nulla assimilato gli stili di vita germogliati con la tecnologia digitale.
In un momento di sconforto, si rivolge ad Antoine (Guillaume Canet), un imprenditore che, ricorrendo alle sue conoscenze cinematografiche, ricostruisce scenari del passato, con tanto di interpreti a incarnare tutti i personaggi coinvolti, riuscendo a far rivivere ai clienti ogni tipo di avvenimento nel massimo del suo splendore.
Così, Victor decide di tornare nella Lione del 16 maggio 1974, il giorno in cui conobbe Marianne. La messa in scena verrà ripetuta più volte, anche perché, fin dal primo istante, l’uomo rimane stregato dall’interprete (Doria Tillier) di quella che sarebbe poi divenuta la sua consorte.
Ammesso e non concesso che la vita non sia un film, potrebbe tranquillamente passare per un’opera teatrale, un allestimento itinerante con un maggior tasso di coinvolgimento e precisione, rimodulabile a piacimento del suo deus ex machina.
Con La belle époque, Nicolas Bedos si afferma come potenziale autore di punta nel settore delle commedie sentimentali da qui agli anni a venire, confermando quanto di buono aveva fatto trasparire con il precedente Un amore sopra le righe.
Stavolta, va decisamente oltre lo scomparto principale, che di suo vede inscenare la delusione provata al cospetto del presente, la rievocazione di un’epoca ormai accantonata nel libro dei ricordi, il ritorno al passato in prima persona, il gusto di un amore assoluto pronto a sbocciare in tutta la sua straordinaria radiosità.
Di fatto, questa rappresentazione è formulata attraverso ripetuti sconfinamenti tra finzione e realtà, girovagando sotto mentite spoglie in tutti gli interstizi disponibili (realtà-realtà, realtà>finzione, realtà<finzione, finzione-finzione), senza scordare i paralleli passato/presente e giovani/adulti. A un certo punto, bisogna farsi (almeno) due conti per (cercare di) capire quale sia il punto di equilibrio raggiunto, per poi ritrovarsi ugualmente scaraventati in un battibaleno sulla soglia di un nuovo ingresso, con svariate componenti da riallocare.
In sostanza, siamo al cospetto di un film-meccanismo dai confini continuamente ritracciati, un’esibizione (nell’esibizione) artefatta oltre ogni immaginazione, con personaggi in instancabile sovrapposizione, gingilli che Nicolas Bedos – replicato in scena dal personaggio di Guillaume Canet (a sua volta un regista… ) - governa come il più abile dei burattinai.
Così facendo, prende il via una girandola imbellettata ad arte, in cui ogni aspetto è ricercato, curato e coccolato, mediando tra il colto e il popolare, con talmente tanti spunti e riferimenti da far girare la testa, una ricchezza di situazioni da far impallidire le commedie contemporanee, dialoghi forsennati e personaggi di ogni risma.
In realtà, di un film sofisticato come La belle époque si potrebbe parlare per ore e tanti spezzoni meriterebbero un approfondimento specifico, ma la sua bellezza sui generis risiede proprio nelle tante sponde offerte, nella possibilità di innamorarsi del percorso lungo o anche solo affezionarsi a una semplice tappa, immedesimandosi in uno o più dei tanti caratteri o stazionando in disparte, per sbirciare in scena e intercettare la prossima mossa.
Scintillante e compulsivo, pungente e fragrante.
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