Regia di Guy Ritchie vedi scheda film
Tra regista e spettatore da sempre esiste una tacita convenzione, un contratto non scritto: io ti racconto una storia, sappiamo entrambi che quello che vedi non è la realtà, ma una sua rappresentazione, ma tu fai finta che lo sia, perché è solo così che puoi vivere intense emozioni. Ebbene Guy Ritchie in questa pellicola spezza questa convenzione: mostra una scena allo spettatore, evoca una forte emozione, ma subito dopo mostra la stessa scena di prima nella quale però gli eventi sono completamente diversi, così come l'epilogo, e magari dopo un po' ne presenta una terza, del tutto differente dalle prime due. Quindi chi muore rinasce, chi aveva ucciso nella prima viene ucciso nella seconda, e così via. Risultato: la prima emozione viene "sgonfiata", la seconda non è forte come la prima proprio perché ci si aspetta la terza che del resto non si sa nemmeno se sarà la versione definitiva. E' un po' come "Al lupo! Al lupo!": dopo un po' non ci crede più nessuno. L'emozione, quindi, latita. In questa ridda di ipotesi, in questo incrocio di flashback, in questo bailamme di personaggi alcuni dei quali non credibili, non si vede l'ora che arrivino i titoli di coda. Il soggetto è scontatissimo, la trattazione molto meno, ma decisamente discutibile. Ottimo Farrell, le sue mise e il suo cockney sono strepitosi, McConaughey dopo tanti film idioti si è bruciato ogni credibilità, Jeremy Strong come boss criminale è improponibile, ha la faccia da nerd segaiolo (si può dire? Ah, sì, certo, c'è anche sulla Treccani!) fanatico di Dungeons And Dragons, Henry Golding è una macchietta da slapstick, Charlie Hunnam un improbabile gangster in cardigan, Hugh Grant è una cimice insopportabile, si spera per tutto il film che salti fuori qualcuno che lo ammazzi, ma non smette di petulare fino all'ultima inquadratura.
Se la cifra stilistica doveva essere l'ironia, qualche sorriso il film lo strappa, ma è tirato.
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