Regia di Mario Martone vedi scheda film
Uno splendido film sulla camorra, in particolare per la sceneggiatura, profonda, densa e intensa, tratta da De Filippo. Unico neo: è un po’ troppo teatrale nei dialoghi: come quelli del protagonista con l’aspirante parricida e, prima, con la fidanzata di questa, nonché in certe scene corali di passaggio. Un po’ troppo teatro di cent’anni fa.
L’idea di attualizzare la tragedia di Eduardo, datata nel 1960, è molto intelligente: ma comporta gravi problemi, che non sempre sono risolti bene. Gli standard culturali e l’apparenza sono regrediti, e adattare tutto all’oggi non è semplice. Per essere più credibili, bisognava far comparire più snellezza, ignoranza e superficialità, per assurdo. Ad esempio, i ragionamenti sulla morte sono eccessivi, per la cornice di povertà culturale che lì si mostra, del tutto verosimile.
In questa teatralità un po’ spinta, la recitazione è un po’ troppo accentuata: certi attori sembra che debbano fare colpo al provino (l’aspirante parricida, i ragazzi che si sono sparati all’inizio…).
A suo modo, però, questa audace operazione, e rara, è assai istruttiva: infatti è difficile trovare prove tanto migliori di quanto vorticosamente il mondo sia cambiato in appena 60 anni, sotto il profilo sociale ed educativo.
Ma insieme, questo confronto permette ugualmente di cogliere come il malcostume e la criminalità non siano affatto scomparsi né ridimensionati: semplicemente, sono strutture sociali che purtroppo si perpetuano all’infinito, adattandosi via via in modi sempre più vincenti ai cambiamenti della società. La struttura della camorra non muta mai nell’essenza, nonostante i cambiamenti abissali che la società dell’Italia del sud ha conosciuto comunque in questi decenni, smuovendosi a partire da arcaismi conformistici e omertosi ancestrali.
Sia chiaro: non è inevitabile che le mafie debbano prevalere, pur con tutte le trasformazioni che ciò richiede. Se prevalgono, dipende, in democrazia, solo dal sadomasochismo degli elettori, quanto meno della loro maggioranza: il che implica volontà di rimanere ignoranti, e/o servi, per quieto vivere, paura, opportunismo, vocazione a prendersi i vantaggi della criminalità impunita.
Il pregio del film sta comunque nella puntualità e nella profondità, rare, con cui enuclea il fenomeno della malavita organizzata. Inappuntabile è la spiegazione della spartizione camorrista dei quartieri, e del controllo che i boss vi esercitano. Notevole è il testo sui rapporti di potere criminali, quelli per i quali i peggiori, cioè i più violenti, avranno sempre più influenza di chi ha il merito di non voler essere come loro. Ad esempio, ben mostrata è l’omertà: quella per la quale, anche, non si va mai al pronto soccorso, se coinvolti in ferimenti legati alle vicissitudini criminali. E splendida qui è la figura del medico corrotto, che non può che palesare la sua terribile insoddisfazione per una vita del genere.
Belle tante scene, che De Filippo era uso regalare copiosamente: i soldi immaginari, il boss padreterno a casa sua...
Nel complesso, Martone firma un film intensissimo, di grande tensione (al netto degli eccessi), ben accompagnato dalla colonna sonora.
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