Regia di McG vedi scheda film
“Why are we talking like black men from the 80's?” - “Cuz that's what they want us to do.”
Se da un lato vi sono, ad esempio, Jonathan Glazer, Michel Gondry, Spike Jonze e David Fincher a formare un solido quadrilatero di registi di videoclip che col tempo sono diventati autentici autori cinematografici (mentre Hiro Murai è sulla buona strada e giusta: "Atlanta", "Legion", "Barry", "Guava Island"), e in mezzo c'è Chris Cunningham, che è e resta un videoartista, dall'altro lato vi è un ulteriore poligono, un bel po' più grezzo/rozzo, a forma di triangolo rettangolo, ad un vertice del quale si trova Joseph McGinty Nichol aka McG (“Charlie's Angels / Full Trottle”, “Terminator Salvation”, “3 Days to Kill”, “the BabySitter”), ch'è la versione soft di Tarsem Singh (“the Cell”, “the Fall”, “Self/Less”) e quella truzza di Nima Nourizadeh (“Project X” e “American Ultra”), quest'ultimo un autore nient'e per nulla trascurabile, che può essere considerato il tratto d'unione col primo gruppo summenzionato di “registi che ce l'hanno fatta”.
“È il nuovo 7/11!”
Questo “Rim of the World”, con McG alla produzione (con la sua, e di Mary Viola, WonderLand Sound and Vision) – mentre per la seconda volta consecutiva acquista e distribuisce NetFlix - e regìa e Zack Stentz alla sceneggiatura (scritta in solitaria dopo aver quasi sempre collaborato con Ashley Edward Miller per “Fringe - 3”, “Thor” e “X-Men: First Class”), ovviamente lontano anni luce, tanto per ambientazione quanto per tematiche correlate/collaterali, da film come “Summer of '84” del collettivo RKSS e, per gli anni 90, “Super Dark Times” di Kevin Phillips e "Mid90s" di Jonah Hill, rischia di diventare, anche lui, col tempo, e con tutta la montagna di difetti che riesce ad innalzare, un piccolo classico come (se non certo “the Goonies” di Donner-Columbus-Spielberg, “Stand By Me” di Reiner-Evans/Gideon-King ed “Explorers” di Joe Dante) lo sono diventati “Invaders from Mars” (il remake) di Tob Hooper e “Flight of the Navigator” di Randal Kleiser e come lo diventeranno "Super 8" di J.J.Abrams e "It", il dittico di Andrés Muschietti. A conti fatti, il vero riferimento è “Spy Kids”.
“Ha così tanti soldi che è quasi bianco.”
Non in ordine cronologico, “Rim of the World” è imbarazzante per 2/5 e gradevole per i restanti 3/5 (con punte di piacevolezza).
Ottima è la parte iniziale introduttiva, tanto il duetto tra l'attor giovane protagonista (Jack Gore, molto bravo, già uno young Louis C.K. in “Horace and Pete”) e la bravissima AnnaBeth Gish (“Mystic Pizza”, “When He's Not a Stranger”, “Nixon”, “the X-Files”, “BrotherHood”, “Pretty Little Liars”, “the Bridge”, “Texas Killing Fields”, “Sons of Anarchy”, “Halt and Catch Fire”, “the Haunting of Hill House”), che ne interpreta la madre, quanto la - breve - vita al campo estivo. Ottimi anche altri due interpreti del quartetto di giovani: Miya Cech, nonostante l'espediente mutistic'orientale con surplus di cazzimma (e in parte forse proprio per questo: l'entrata in scena non si dimentica), e Benjamin Flores, nonostante sia sovraccaric(at)o di atteggiamenti e pose a là NickelOdeon Style (dis)umanizzato. Il quarto, Alessio Scalzotto, lo rimandiamo a settembre.
Fotografia di Shane Hurlbut, sodale del regista, che ad un certo punto, causa lampo elettromagnetico alieno, smarmella tutto sul seppia. Montaggio anonimo e per lo più funzionale del leterrieresco Vincent Tabaillon. Musiche come sempre ben godibili del buon Bear McCreary (“BattleStar Galactica”, “Europa Report", “Colossal”, “10 CloverField Lane”, “the CloverField Paradox”).
“C'è più cacca che canoa...”
Poi, pian piano scema, verso l'opportuno e doveroso lieto fine morale e growinguppico, fagocitato dal suo essere copia conforme (non che l'inizio non lo fosse, ma lo era meglio), e perciò espressamente o per interposta messa in scena ultra citazionista, e pure troppo, eh: in successione diretta: una riproduzione anastatica da Jurassic Park (velociraptor) e parimenti 'n'altra da Schindler's List (omissis), e poi, rappresentati esclusivamente attraverso una pedissequa (non è colpa di Tarantino, ma dei tarantinati) e solo in parte riuscita esposizione dialogica: Werner Herzog & Grizzly Man, Cujo, the Gladiator, Marley & Me, Beethoven, John Wick, Wolverin, Hannibal Lecter, Star Wars & Star Trek, eccetera eccetera... Anche se, tirando le somme, il film non è altro che una riproposizione di atmosfere in zona “Spy Kids”. Che? L'avevo già scritto? Sarà l'andazzo...
Carina invece la rivisitazione (con inversione bipolare) della southparkiana Sonda Anale di cartmaniana memoria.
Ah, dimenticavo: sii zarro, compra Adidas.
* * ¾ - 5 ½
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