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Donne ai primi passi

Regia di Maïmouna Doucouré vedi scheda film

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La recensione su Donne ai primi passi

di alan smithee
6 stelle

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Amy ha undici anni, è originaria del Senegal, provenendo da una famiglia profondamente legata alle tradizioni culturali del posto, che stridono sempre di più con i dettami della civiltà di una Francia che la ospita e la mette di fronte a scenari per lei inconcepibili.

E mentre la madre della ragazza è costretta a mandar giù il boccone maro del marito che si sposa legalmente con un'altra donna, pur senza ripudiarla, dovendo altresì sobbarcarsi l'onere di pensare ad organizzargli il matrimonio, per Amy le giornate nella nuova scuola trscorrono alla scoperta dei comportamenti disinvolti delle sue compagne di scuole, che dapprima la deridono e la ghettizzano, poi, scoperta la naturale propensione della ragazzina a muoversi e a danzare, ne seguono i consigli e le coreografie che la stessa crea dal nulla, con una naturalezza del tutto insita nel proprio fisico e consona ad una naturale attitudine che non prevede esperienza né lavori di preparazione.

Ma se da una parte Amy imparerà ad ostentare quella disinibizione che non coincide con la sua naturale propensione alla danza e al movimento ritmico, dall'altro la giovane rischi di compromettere l'equilibrio della sua famiglia, da sempre divisa tra il mondo occidentale che la ospita, e la tradizione di cui si rende succube e devota discepola.

Circondato dall'alone di scandalo che ha accompagnato la pellicola sin dalla sua prima apparizione al Sundance Film Festival, poi nelle sale francesi, per acuirsi una volta che il prodotto è stato acquistato da Netflix per la sua distribuzione planetaria, e circondato ormai dalla fama di film scandalo, per come dipinge la malizia provocatrice che la precoce sessualità finisce per trasformare bambine formalmente ancora adolescenti, in vere e proprie macchine aizza sesso non solo nei confronti di coetanei, ma anche adulti, Mignonnes (o Cuties, tutto meglio del banale e scialbo titolo italiano attribuito al film della regista senegalese Maimouna Doucouré) si rivela invece un film schietto in grado di sbilanciarsi con una certa profondità tra due culture formalmente antitetiche, che tuttavia devono confrontarsi e convivere all'interno di esistenze a loro volta sbalestrate e turbate da attitudini e valori profondamente antitetici e assai poco concilianti tra di loro.

Il tutto centrando un argomento scomodo, grazie ad un gruppetto di ottime interpreti, in grado di risultare credibili anche a costo di suscitare sentimenti di imbarazzo e sconcerto per la reiterata capacità della regista di riprenderne movenze e moine accattivanti e disinibite, le stesse che sono riuscite facilmente ad aizzare tutte quelle polemiche che infatti hanno sommerso la pellicola, decretandone invero più fama che censura, se non si contano i danni economici di cui molta stampa ci ha relazionato a proposito del gigante Netflix, che tuttavia non ritengo possa risultarne compromesso più di tanto, quantomeno con effetti più di tanto destabilizzanti per un colosso di tale livello.

 
 
 
 
 
 
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