Regia di Han Lee vedi scheda film
Far East Film Festival 21 - Udine.
Una maratona si vince solo tagliando per primi il traguardo. Non è sufficiente dominare la gara fino al rettilineo finale se poi rallenti alzando le mani al cielo anticipatamente per fare il pieno di applausi e vieni beffato sul filo di lana.
Innocent witness sciorina un comportamento del tutto analogo. Costruisce tanto, svaria con piglio propositivo e fa i salti mortali per creare un redditizio ponte con lo spettatore, fino a esagerare, combinandone di cotte e di crude nell'ultimo tratto, senza un minimo senso della misura.
L'integerrimo avvocato Yang Soon-ho (Jung Woo-sung) assume le difese di Mi-ran Oh (Yum Hye-ran), una governante accusata di aver ucciso l'anziano che accudiva. L'accusa, capitanata dal giovane legale Hee-joong (Lee Kyu-hyung), può contare sulla testimonianza fondamentale di Ji Woo (Kim Yang-gi), una ragazzina autistica che Yang avvicinerà per capire cosa abbia realmente visto.
Nel frattempo, l'avvocato viene lusingato dalla proposta di diventare socio dell'ufficio legale dove presta servizio, una promozione che gli permetterebbe di risolvere dei cronici problemi economici, ma non di essere in pace con sé stesso e sulla linea d'onda di Shin-hye (Kim Seung-yoon), una madre divorziata che ama da quando studiava con lei all'università.
Per essere un legal drama, Innocent witness è piuttosto particolare. Fin dalle prime battute, mette parecchia carne al fuoco e stipa le spaziature, aprendo traiettorie che solo saltuariamente s'addentrano nel luogo principe di questa categoria di film, ossia il tribunale.
Innanzitutto, condisce una confezione tirata a lucido con un passo e un tono da commedia, leggero ma non superficiale, sarcastico e frizzante, un metodo finalizzato all'inquadramento dei personaggi, approfondendone lo specifico lato umano. È subito chiaro come l'avvocato Yang - incarnato da Jung Woo-sung, emblema di rassicurazione e carisma - costituisca la bussola morale, un discendente della stirpe degli Atticus Finch (Il buio oltre la siepe). Un uomo retto, in ostinato contrasto con una società votata al trionfo degli interessi economici, evidenziati nella causa primaria, così come in una secondaria, citata e tenuta fuori dal campo visivo, vettore selezionato per criticare la politica delle multinazionali, costantemente nell'occhio del ciclone ma tutelate da potenti gruppi legali schierati in tenuta da combattimento.
Inoltre, l'esposizione destina un ruolo privilegiato all'autismo. Un esemplare di anello debole, trattato con sensibilità, un tramite per perlustrarne le problematiche senza arenarsi nelle sabbie mobili di inutili piagnistei, estraendone anche delle potenzialità che il sistema non prende in alcuna considerazione, fermo com'è sulla superficie della materia.
Un atto da rimarcare, che conquista più volte la prima pagina, creando involontariamente un'incongruenza narrativa che compromette l'integrità dell'opera. Per par condicio, il regista Lee Han rincara la dose in chiusura, aggiungendo una serie superflua e spudorata di sottofinali, un autogol che non dilapida la mole voluminosa di materiale montato in due ore ricolme di sollecitazioni, ma ne mina l'assetto.
Un eccesso di dolcificante che poteva costare caro, comunque sufficiente per intaccare un film altrimenti pragmatico, un crossover colloquiale e garbato, con il sorriso stampato sulle labbra e una pluralità di messaggi incorporati: di tolleranza nei confronti dei più deboli, di aspra denuncia verso chi non ha un minimo di scrupolo e di stima per chi non svende l'anima al diavolo, continuando a credere - nonostante i tanti segnali avversi - nella giustizia.
Caparbio, onesto e dinamico, a rischio sovraccarico.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta