Regia di Kwon Lee vedi scheda film
Far East Film Festival 21 – Udine.
Tra i principali sentimenti addensati nel paniere che costituisce lo zeitgeist del momento, la sensazione di non poter vivere in sicurezza figura in cima alla lista. Addirittura, nemmeno il nido domestico è un luogo dove sentirsi ragionevolmente tranquilli e, quando manca la serenità, tutto il resto va a rotoli. Se poi sussistono segnali di un effettivo pericolo imminente, forse già in fase di attuazione, la paranoia prende definitivamente il sopravvento e le contromisure rischiano di essere inutili, sistematicamente anticipate.
Kyung-min (Hyo-jin Kong) è una ragazza single, scarsamente soddisfatta del suo lavoro da bancaria e impaurita dall’azione di uno stalker, che teme sia riuscito a entrare nel suo appartamento forzando il sistema elettronico di sicurezza. Nessuno crede al suo grido di allarme, almeno fino a quando all’interno della sua abitazione viene ritrovato morto il suo direttore e, successivamente, un cliente adirato per il trattamento ricevuto l’aggredisce davanti a tutti.
Nonostante l’intervento della polizia, la situazione precipita, obbligando la ragazza a indagare personalmente per individuare il vero responsabile dell’omicidio, un uomo che continua a perseguitarla bypassando agevolmente ogni suo tentativo di mettersi in salvo.
Come thriller, genere a cui giustamente viene assimilato, Door lock fatica a compiere il suo mestiere, almeno con la minima continuità richiesta, riuscendo comunque a raccontarci qualcosa di una società in forte espansione come quella sudcoreana. Dal riquadro esposto, emergono la precarietà percepita dalle persone, i pregiudizi subiti da chi appartiene ai ceti medio bassi e un modello di vita che, al cospetto dell’aumento dei ritmi di sviluppo, vede diminuire la soglia di attenzione nei confronti del singolo individuo.
Elementi di contorno visibili sebbene trasmettano poca linfa al film diretto da Kwon Lee, fermo su posizioni convenzionali, con tracce seminate tra il capro espiatorio di turno, inefficienze varie che permettono a uno psicopatico con una tendenza macabra rivolta al taglio degli arti (a un certo punto, fosse per lui arriverebbe a un risultato in stile Boxing Helena) di proseguire indisturbato le sue scorrerie e qualche pezzo fuori posto, ma non così difficile da ricollocare.
Anche l’espediente di mostrare al pubblico dei particolari inquietanti che la protagonista non conosce, è più uno sfizio che un reale apporto alla causa (un altro vezzo piuttosto consunto, soprattutto visto che nella pratica non è un affidabile specchio per le allodole), così come l’abitudine del killer di nascondersi sotto il letto per poi aggredire la vittima designata, perde consistenza con la reiterazione, anche perché le finalità non vanno oltre l’azione basilare (per intenderci, niente a che vedere con Bed time).
Ragionando più in generale, Door lock non riesce mai ad alzare la tensione su livelli soddisfacenti, nemmeno quando gli astri sono allineati per far sì che ciò accada, per cui non infila mai la corsia della continuità e lo stesso colpo di coda è edificato su qualche leggerezza di troppo (come nel resto del film, la polizia ci piglia tra lo zero e il meno uno), per poi approdare a una chiusa scarica, alla prova dei fatti ininfluente.
Dunque, tolto il fattore immedesimazione, per cui il sentirsi vulnerabili appartiene a uno stato d’animo ampiamente condiviso, e la protagonista Hyo-jin Kong, chiamata a essere stressata, insicura e instabile, oltre a mostrare espressioni di terrore, questo thriller è già pronto per finire in quella vasta area denominata dimenticatoio, troppo gracile nella struttura e poco appariscente nella forma per meritarsi un posizionamento migliore.
Anonimo e sostanzialmente sterile.
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